Tutti conosciamo Tina Turner, un fenomeno sul palco che ha dovuto scontare le pene dell’inferno in nome dell’amore per suo marito Ike. Fino al giorno in cui decise di scappare e rinascere.
L’inizio inaspettato e la nascita di Tina Turner
Tina Turner nacque Anna Mae Bullock, abbandonata presto dai genitori e cresciuta con i nonni. La donna, da adulta, ha sempre raccontato di aver percepito chiaramente che la madre non la volesse. L’unica cosa che desiderava per lei era il successo, tanto da accettare regali e doni lussuosi dal futuro genero, pur sapendo che abusasse della figlia e, anzi, scoraggiando quest’ultima dal separarsi da lui.
All’età di 18 anni si trasferisce a Saint Louis, proprio dalla genitrice che aveva progettato per lei un corso da infermiera con cui farsi aiutare economicamente. Ma il richiamo della musica era troppo grande, già da piccola amava cantare nel coro della chiesa e farsi sentire. Una sera va in un locale dove canta una canzone blues, la band che si esibiva era i Kings of Rhythm, alla voce un Ike Turner che quando la sentì le chiese subito di fare una demo.
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C’era qualcosa nella sua voce di tremendamente accattivante: una sonorità bassa e malinconica che esplodeva in acuti che graffiavano l’anima. Quella voce non poteva appartenere a un’infermiera perché era destinata a qualcosa di più grande. C’era solo una cosa da cambiare, quel nome… Anna Mae. Così sdolcinato, cozzava totalmente con quello che lui aveva in mente. Fu Ike a proporre lo pseudonimo “Tina”, perché faceva rima con “Sheena”, la regina del deserto.
Non ci volle molto prima che i due si innamorassero, trainati dal successo vorticoso intorno a Tina. Si sposarono dopo due anni a Tijuana, in Messico e la prima notte di nozze fu traumatica: Ike portò Tina in un bordello ad assistere a uno show di sesso dal vivo. Nulla di romantico. La Turner non sapeva che era solo un anticipo di ciò che le sarebbe spettato in futuro.
Le botte e le violenze sessuali
La carriera di Tina Turner con Ike svettò presto in cima. Più i riflettori si concentravano sulla donna, più Ike si ingelosiva. Pretendeva la stessa attenzione dato che le canzoni le scriveva lui, pretendeva il merito di aver scoperto la sua creatura, pretendeva soldi e controllo totale. Il suo ruolo di abusante era già definito. Più passava il tempo e più Tina Turner smetteva di essere sua moglie, smetteva di essere la madre dei suoi figli (4 in totale, compresi quelli precedenti alla relazione) e assumeva le fattezze di oggetto.
Un oggetto per il successo, un oggetto su cui sfogare la sua rabbia. Tina Turner subiva spesso i maltrattamenti del marito, le botte che le rompevano le mascelle, i caffè bollenti che le bruciavano il viso. Il profondo amore che nutriva per quell’uomo la portava a legittimare ogni sorta di sopruso, troppo preoccupato dalle pressioni lavorative, troppo stressato dalle richieste dell’etichetta, troppo qualsiasi cosa.
La verità è che Ike Turner entrò in una spirale di abuso di alcol e cocaina, ciò incrementò la propria indole violenta, indole che arrivò anche allo stupro. Tina raccontò in un’intervista che una volta stava parlando col marito di una collaborazione musicale, i due non erano d’accordo e ciò fece esplodere il marito in un abuso sessuale volto a zittire la donna.
La profonda infelicità di Tina Turner la portò sull’orlo del suicidio, uno dei quali terminò con 50 pillole ingerite, una lavanda gastrica e un marito che le disse al risveglio: “saresti dovuta morire“.
La fuga e la battaglia legale
Nel luglio 1976 la coppia è a Dallas, in una tappa del loro tour. L’ennesimo litigio scoppiato in hotel termina con una Tina dal volto sanguinante e diversi lividi. È la goccia che fa traboccare il vaso, scapperà dalla struttura con soli 36 centesimi in tasca, trovando rifugio in un altro albergo e chiedendo di poter avere una camera anche senza soldi. Sfilò dal suo dito un anello d’oro cercando di pagare con quello, ma il proprietario la fermò, scosso. Prese subito una chiave, dicendole che era un onore averla ospite.
Ciò che accadde mesi dopo fu una dura battaglia legale in cui la cantante non chiese nulla al marito, eccetto una cosa: il suo cognome. Niente soldi, niente case, niente gioielli. Solo il cognome col quale era diventata famosa e che sarebbe stato l’inizio della sua rinascita.
Una rinascita chiamata Private Dancer, l’album da 12 milioni di dollari che la consacrò definitiva regina del soul. Ce l’aveva fatta da sola, senza nessun uomo alle spalle.
Sulla relazione sono stati girati diversi film: il più noto è “Tina – What’s Love Got to Do with It“.