3 giorni fa un uomo di 46 anni con problemi psichici è entrato nel centro commerciale di Assago ed ha accoltellato 6 persone, uccidendone una.
Sulla questione è intervenuto Claudio Mencacci, direttore emerito di Psichiatria dell’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano e co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (SINPF), in una lunga intervista a Il Giornale.
L’uomo viveva in casa con i genitori, e malgrado i problemi psichici che ultimamente lo avevano colpito, dopo un intervento, non era mai stato una persona aggressiva. Cosa è successo quindi e come mai l’uomo non era stato affidato a una struttura adeguata?
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“Una condizione di psicosi”
Per il direttore, il caso in questione “sembra una condizione di psicosi, con un aspetto di persecutorietà. Non posso fare una diagnosi ma la cosa si manifesta con queste caratteristiche fatte dall’isolamento, ritiro, poche amicizie, qualcosa che sposta il campo della psicosi più sul versante di tipo persecutorio e paranoico”, osserva il direttore ai microfoni de Il Giornale.
Sulla convinzione di essere gravemente malato dopo l’intervento alla schiena, il direttore osserva: “Non sappiamo che idea della malattia si sia fatto, se si sentisse danneggiato o invalido ma sono forme che si definiscono dell’area psicotica e a volte correlate da aspetti allucinatori, uditivi o imperativi. Siamo di fronte a un crescente discontrollo degli impulsi: quando uno si autopercuote o passa alla violenza verso gli altri si tratta di una condizione di discontrollo dell’impulsività. Non si capisce bene se chi è attorno venga vissuto come qualcosa di fortemente minaccioso”.
I genitori dicono non era mai stato aggressivo
“C’è sempre una valutazione della condizione fisica e della psicopatologia messa in atto, sulla scorta della storia della persona”. In questo caso, spiega l’esperto, va valutata la storia clinica del soggetto, tenendo in considerazione anche il lato stupefacenti, bisogna capire: “Se c’è o meno abuso di sostanze… si valuta la gravità delle condizioni. Non è che tutti quelli che commettono un atto autolesionistico devono essere ricoverati, basti pensare alla quantità di adolescenti che si sono presentati in pronto soccorso in questi 2 anni con lesioni da taglio o di chi ha tentato il suicidio, in questi casi non si utilizza il ricovero ma la presa in carico”.
I rischi del passaggio da un atto autolesionistico a una violenza verso altri
Quando qualcuno compie un atto autolesionistico, potrebbe (anche se non è detto) rivolgere poi la violenza su altri.
In quei casi, la persona ha perciò bisogno di cure adeguate, che talvolta potrebbero richiedere un Tso: “Quando viene data un’indicazione di rivolgersi al centro è perché la persona possa ricevere le cure adeguate e sono sempre di natura volontaria ad eccezione del Tso”.
Tuttavia, il passaggio dall’autolesionismo a un atto di violenza su altri è alquanto raro, dice il direttore.