L’Alzheimer si può trasmettere, ma niente allarmismi: 5 casi reali

By Ana Maria Perez

La trasmissione dell’Alzheimer, una nuova scoperta

L’Alzheimer è una malattia degenerativa. Forse qualcuno di voi che sta leggendo questo articolo ha un parente o un amico che soffre di questo disturbo. In realtà, si tratta di una malattia molto diffusa, dato che in Italia circa un milione di persone soffrono di demenza, mentre in tutto il mondo, le persone affette da Alzheimer sono più di 44 milioni, circostanza che rende la malattia di interesse sanitario globale.

Ora, un nuovo studio dimostra come in alcuni casi l’Alzheimer potrebbe essere “trasmesso”. Capiamoci, non si tratta di un contagio tipo “virus”, ma alcuni casi che sono stati approfonditi dagli esperti dimostrano come in alcune circostanze, i sintomi di demenza ad esordio precoce potrebbero essere collegati a un determinato trattamento medico, di cui vi parliamo in questo post.

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L’Alzheimer, la manifestazione più comune di demenza

L’Alzheimer è una malattia che colpisce il cervello, causando problemi di memoria, pensiero e comportamento. È il tipo più comune di demenza, una condizione che si verifica quando il cervello non funziona più correttamente. Ha un decorso progressivo e in alcuni casi può manifestarsi anche prima dei 65 anni. Le cause dell’Alzheimer non sono ancora del tutto chiare, ma sembrano legate a un’alterazione di una proteina che si accumula nel cervello e provoca la morte delle cellule nervose. 

Non esiste una cura definitiva per questa malattia, ma ci sono trattamenti che possono rallentare il suo avanzamento e migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari.

Il nuovo studio che parla della trasmissione dell’Alzheimer

Cinque adulti che manifestano sintomi di demenza ad esordio precoce potrebbero essere stati vittime di un trattamento medico con ormone della crescita umano, somministrato loro quando erano bambini (decine di anni orsono) e, naturalmente, ormai interrotto.

Il nuovo studio è stato pubblicato lunedì 29 di gennaio sull’importante rivista scientifica Nature Medicine. La ricerca fornisce la prima prova riportata della malattia di Alzheimer acquisita per via medica in persone viventi. In questi casi, i sintomi di demenza ad esordio precoce dei pazienti possono essere il risultato della possibile trasmissione della proteina beta amiloide, che è una componente chiave del morbo di Alzheimer quando forma placche nel cervello .

Il nome dello studio, svolto da un team di ricercatori dell’University College di Londra e del National Hospital for Neurology and Neurosurgery del Regno Unito, è “Iatrogenic Alzheimer’s disease in recipients of cadaveric pituitary-derived growth hormone” e potete leggerlo qui

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L’accumulo della proteina beta amiloide nel cervello

L’accumulo anormale della proteina beta amiloide nel cervello è associato all’Alzheimer; il nuovo studio suggerisce che la contaminazione da beta amiloide potrebbe avere un collegamento con i primi sintomi di demenza sperimentati dai pazienti nello studio. I risultati della ricerca non concludono che la malattia di Alzheimer possa essere contagiosa o diffondersi come un’infezione virale o batterica, ma risollevano nuove domande sull’Alzheimer e su altre malattie degenerative.

John Collinge, autore principale dello studio e direttore dell‘University College London Institute of Prion Diseases dichiara: “vorrei sottolineare che si tratta di eventi molto rari, e la maggior parte di essi si riferisce a procedure mediche che non vengono più utilizzate“. Sta di fatto che tutti e cinque gli adulti oggetto della ricerca avevano un deficit di ormone della crescita da bambini e avevano ricevuto ormoni della crescita ipofisari preparati in modo specifico da cadaveri.

La ghiandola pituitaria e l’ormone della crescita relazionati con l’Alzheimer

La ghiandola pituitaria si trova alla base del cervello e l’ormone umano della crescita , o HGH, è un ormone naturale che la ghiandola produce e rilascia, promuovendo la crescita nei bambini. Secondo lo studio già menzionato, tra il 1959 e il 1985 questi pazienti erano tra le almeno 1.848 persone nel Regno Unito che sono state trattate con un ormone della crescita umano derivato dalla ghiandola pituitaria di un cadavere.

All’epoca questo trattamento veniva utilizzato anche in altre parti del mondo, compresi gli Stati Uniti . L’approccio terapeutico è stato interrotto dopo che si è scoperto che casi di una rara malattia cerebrale chiamata malattia di Creutzfeldt-Jakob erano associati alla somministrazione di ormone della crescita umano contaminato da cadaveri.

Il nuovo studio suggerisce che l’esposizione ripetuta, per più anni, a trattamenti con HGH derivato da cadavere che era stato contaminato sia dai prioni associati alla malattia di Creutzfeldt-Jakob che dai semi di beta amiloide potrebbe trasmettere l’Alzheimer. I prioni sono proteine ​​che possono agire come agenti trasmissibili di malattie neurodegenerative.

La malattia da prioni

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Dr John Collinge

I ricercatori hanno scritto nel loro studio che la malattia di Alzheimer può essere trasmissibile, in determinate circostanze, in modo simile alle condizioni note come ” malattie da prioni “, una famiglia di rari disturbi neurodegenerativi progressivi noti per essere associati alle proteine ​​prioniche, inclusa la malattia di Creutzfeldt-Jakob. o CJD. Sebbene l’Alzheimer non sia una malattia da prioni, alcune ricerche separate suggeriscono che le due proteine ​​che sono le caratteristiche distintive della malattia di Alzheimer, l’amiloide-beta e la tau, si comportano come i prioni .

Il dott John Collinge, nella conferenza stampa tenuta per raccontare gli esiti della ricerca, ha detto: “sembra che ciò che sta accadendo nel morbo di Alzheimer sia molto simile sotto molti aspetti a ciò che accade nelle malattie umane da prioni come la CJD (…) Ciò solleva implicazioni sugli approcci terapeutici alla malattia di Alzheimer“.

“Le persone non hanno nulla da temere”

Nel 2015, i ricercatori avevano precedentemente descritto “possibili prove ” che la trasmissione della proteina beta amiloide dall’ormone della crescita di un cadavere a un ricevente fosse fattibile e poi nel 2018 hanno studiato questo fenomeno nei topi di laboratorio.

I ricercatori spiegano: “con questo studio forniamo la prova che la malattia di Alzheimer è anche trasmissibile in determinate circostanze“. Ciononostante, aggiungono che questo tipo di trasmissione è “raro” e non vi sono motivi per desumere che l’amiloide-beta possa essere trasmessa tra le persone nelle attività quotidiane o nelle moderne cure mediche di routine.

La dott.ssa Susan Kohlhaas, direttrice esecutiva della ricerca e delle partnership presso l‘Alzheimer’s Research UK dice, in merito alla ricerca:

Questo studio suggerisce che in circostanze molto rare la malattia di Alzheimer può essere trasmessa tra esseri umani attraverso l’ormone della crescita umano da donatori deceduti. Va sottolineato che questo trattamento oggi non viene più utilizzato ed è stato sostituito con l’ormone della crescita sintetico (…) È anche importante sottolineare che questo è l’unico caso registrato di trasmissione dell’Alzheimer tra esseri umani“.

Anche se non vi è alcun indizio che l’amiloide-beta possa essere trasmessa tra individui durante le attività quotidiane, “il suo riconoscimento sottolinea la necessità di rivedere le misure per prevenire trasmissioni accidentali attraverso altre procedure mediche e chirurgiche”, hanno scritto i ricercatori nello studio.

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Susan Kohlhaas

L’analisi su 8 soggetti: “Necessità di porre nuove domande scientifiche”

I ricercatori hanno esaminato otto casi di pazienti a cui era stato somministrato l’ormone della crescita umano proveniente dalla ghiandola pituitaria di un cadavere. Tutti loro erano stati trattati quando erano bambini. Cinque dei pazienti erano ancora vivi quando si è svolto la ricerca ed erano sulla cinquantina. Gli altri tre erano morti all’età di 57, 54 e 47 anni.

I ricercatori hanno scoperto che cinque dei pazienti presentavano sintomi coerenti con la demenza a esordio precoce e a tre di questi cinque era stata diagnosticata la malattia di Alzheimer prima dello studio. Quattro dei pazienti hanno iniziato ad avvertire sintomi tra i 48 e i 49 anni. L’altro paziente ha iniziato ad avere i sintomi a 55 anni.

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Dr James Galvin

Il nuovo studio rappresenta la prima occasione in cui il dottor James Galvin, direttore del Comprehensive Center for Brain Health presso l’UHealth, il sistema sanitario dell’Università di Miami, ha sentito parlare della trasmissione della malattia di Alzheimer negli esseri umani. Galvin ha scritto in un’email:

I pazienti erano tutti molto giovani, il che farebbe sospettare che siano coinvolti fattori estranei. In genere, l’esordio precoce è legato a mutazioni genetiche, ma poiché ciò non è stato provato, la causa attribuibile più probabile sarebbe il trattamento con ormone della crescita proveniente da un cadavere. Sono necessarie ulteriori indagini”, ha detto Galvin (che non è stato coinvolto nello studio).

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