Grazie un a dispositivo digitale si può tornare a camminare, di cosa si tratta?
Vi ricordate di Heidi, di Johanna Spyri? Quella bambina allegra che viveva nelle Alpi svizzere insieme al nonno fece intenerire un nutrito pubblico di telespettatori ancora agli albori della televisione. Nella vita di Heidi c’è Clara, una ragazzina di 12 anni che vive a Francoforte costretta a spostarsi su una sedia a rotelle. Finché una gita alle amate montagne della sua piccola amica e uno spiccato desiderio di movimento la portano a camminare. Da qui parte la nostra storia rivoluzionaria. Dalla volontà di movimento e dagli studi scientifici del secolo XXI.
La Scienza continua a far progressi e, quando abbinata alla Tecnologia, i risultati sono strabilianti. Questa volta è protagonista un nuovo dispositivo che è stato creato da un gruppo di ricercatori del Politecnico di Losanna (Svizzera), che si occupa di trovare sistemi per ripristinare funzioni sensoriali e motorie che sono state interrotte a causa di una lesione spinale. L’apparecchio si basa sui risultati di altri lavori precedenti che aveva predisposto lo stesso gruppo di studio. A guidare il team, il Prof Grégoire Courtine, Vi raccontiamo in cosa consiste.
Il Professore Grégoire Courtine
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Credit: CHUV/Gilles Weber
Il cervello “dialoga” con il midollo spinale
Il dispositivo crea un “ponte digitale” tra il cervello della persona paralizzata e i nervi sotto la ferita: in questo modo, il suo cervello parla con il centro che controlla il movimento. Sarebbe il pensiero a controllare la mobilità. Questa attività consente al paziente di camminare per brevi distanze.
La ricerca è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista “Nature” , che ha presentato i risultati dell’utilizzo del dispositivo su un uomo olandese di 40 anni rimasto paralizzato 12 anni fa a causa di un incidente con la sua bicicletta. Visto l’esito incoraggiante ottenuto dal team del Prof Courtine, ora gli scienziati si trovano al lavoro per proseguire la sperimentazione che prevede il coinvolgimento di altre tre persone paralizzate.
Contestualmente, sono in corso sperimentazioni (per il momento sugli animali) per verificare se lo stesso sistema può essere applicato alle persone che non possono muovere le braccia
NATURE – CHUV/Gilles Weber
Tecnicamente, il sistema alla base del ponte utilizza l’impianto spinale del paziente e lo accoppia con due impianti a forma di disco inseriti nel suo cranio in maniera che due griglie di 64 elettrodi si appoggino contro la membrana che copre il cervello. Gli elettrodi registrano i segnali della corteccia motoria utilizzando frequenze che l’Intelligenza artificiale ha permesso di individuare. Quando la persona desidera camminare, gli impianti rilevano l’attività elettrica nella corteccia; i segnali elettrici sono trasmessi al midollo spinale, dove sono ricevuti da 16 elettrodi e decodificati in tempo reale. Questo segnale viene decodificato in modalità wireless attraverso un sistema di controllo portatile, nascosto in uno zaino.
La novità assoluta è il controllo volontario del movimento
Secondo il prof Silvestro Micera, ordinario di bioingegneria elettronica e informatica alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa,“La novità rispetto a precedenti sperimentazioni è che ora si aggiunge la possibilità del controllo volontario del movimento, in pratica si cerca di ripristinare il movimento col pensiero. Prima, i pazienti utilizzavano un sistema basato su un tablet, quindi c’era un controllo “non volontario” del movimento“.
Prof Silvestro Micera
Di fatto, nella precedente sperimentazione un sistema di elettrodi controllabile con un tablet inviava stimoli elettrici ai muscoli in maniera programmata. La differenza è che, non avendo a disposizione un controllo dei movimenti “volontario”, ma comandato da un apparecchio elettronico, il paziente camminava come un robot e non riusciva a compiere compiutamente movimenti di flessioni più o meno complesse come salire le scale.
Per la neuroscienziata Anna Leonard, dell’Università Adelaide in Australia, si tratta di un “enorme salto” verso una migliore funzionalità per le persone con lesioni al midollo spinale. E lascia anche spazio ad altri interventi, come le cellule staminali, per migliorare ancora i risultati. Secondo la professoressa, “c’è molto spazio per altre aree di ricerca che potrebbero aiutare a migliorare i risultati per altre patologie” (il controllo della vescica e dell’intestino, ad esempio).
Anna Leonard
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