Venezuela, 95% sì all’annessione di Essequibo, una regione della Guyana piena di Petrolio

By Ana Maria Perez

Venezuela, nel referendum vince il sì all’annessione

Nelle nostre notizie estere vi parliamo spesso di risultati elettorali. Negli ultimi due anni, molti sono stati i nostri racconti su vittorie e delusioni alle urne. Tuttavia, una vittoria così schiacciante come quella di domenica 3 di novembre in Venezuela non ve l’abbiamo mai raccontata. Il governo di Nicolás Maduro ha promosso una consultazione (la cui partecipazione ha sollevato dubbi), per concedere la cittadinanza alle 125.000 persone che risiedono nella regione di Essequibo. I risultati sono sorprendenti. Vi raccontiamo tutto in questo post.

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Il referendum per l’annessione di Essequibo, 95% di sì

Domenica 3 di novembre i venezuelani hanno sostenuto, attraverso un referendum, l’annessione della regione di Essequibo, un territorio della Guyana ricco di petrolio, di quasi 160.000 chilometri quadrati. La disputa per questa regione popolata fondamentalmente da indigeni data due secoli.

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Uno scorcio di Essequibo

La votazione si è conclusa con la vittoria del sì, con oltre il 95% dei voti favorevoli alle cinque domande poste dal Consiglio Elettorale Nazionale (CNE). Non sono stati forniti dati sulla partecipazione, anche se il Consiglio ha indicato che i voti raccolti sono stati pari a circa 10,5 milioni ( 10.554.320 voti), su un totale di 20,7 milioni di venezuelani chiamati alle urne.

Nelle sue cinque domande, il referendum chiedeva in particolare ai venezuelani se fossero d’accordo a non riconoscere la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia (ICJ), di cui è responsabile la Guyana, e ad integrare il territorio nel Venezuela.

Le conseguenze del referendum

Intanto, la consultazione non è vincolante, nonostante Caracas l’abbia organizzata per legittimare le proprie rivendicazioni su questo territorio che disputa con la Guyana

Tuttavia, con il risultato ottenuto, il governo di Nicolás Maduro ha ottenuto il sostegno popolare per sviluppare, come si chiede nella la domanda, “un piano accelerato di assistenza globale per la popolazione attuale e futura” di questa zona, che comprende la concessione della cittadinanza alle 125.000 persone che, per la maggior parte indigene, vi risiedono in piccole comunità.

Nicolás Maduro ha dichiarato: “abbiamo mosso i primi passi di una nuova tappa storica nella lotta per ciò che ci appartiene, per recuperare ciò che ci hanno lasciato i liberatori“.

Durante la giornata di comizi, i giornalisti della France Presse a Caracas, Ciudad Guayana, capitale della regione venezuelana al confine con Essequibo, o a San Cristóbal (sud-ovest), hanno osservato solo una folla moderata ai seggi elettorali.

Questo risultato non avrà conseguenze concrete nel breve periodo: il territorio è in Guyana e non è un voto a favore dell’autodeterminazione. Tuttavia, il voto ha sollevato preoccupazioni a Georgetown, capitale della Guyana, e anche sulla scena internazionale, dove si temono rappresaglie e invasioni per forzare la situazione.

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Pericolo invasione come Russia – Ucraina?

Caracas ha assicurato che non sta cercando un motivo per invadere l’area, come teme la Guyana accadrà se non altro a lungo termine. Tuttavia, nella capitale, Georgetown, migliaia di persone hanno formato catene umane per dimostrare il loro attaccamento al territorio. Di fatto, dopo le gare petrolifere e una nuova scoperta dell’oro nero recentemente (nel mese di ottobre) la tensione è aumentata notevolmente.

Il Venezuela rivendica da decenni questo territorio (a volte chiamato Guayana Esequiba) di 160.000 km2 che rappresenta più di due terzi della Guyana e dove vive un quinto della sua popolazione. Caracas sostiene che il fiume Essequibo dovrebbe essere il limite naturale, come nel 1777, ai tempi dell’Impero spagnolo.

La Guyana, che possiede alcune delle riserve petrolifere pro capite più grandi del mondo, ritiene che il confine risalga all’epoca coloniale inglese e sia stato ratificato nel 1899 da una Corte di Arbitrato. Il Paese si è rivolto all’ICJ, il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, per convalidarlo. Georgetown aveva anche fatto appello senza successo alla Corte Internazionale di Giustizia per cercare di fermare il referendum.

Ora resta solo attendere per capire ciò che accadrà nei prossimi mesi.

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