Strage di via d’Amelio: i figli di Borsellino citano Presidenza del Consiglio e Viminale sui depistaggi

By Iole Di Cristofalo

L’udienza preliminare dove i figli di Borsellino chiedono conto anche allo Stato sui depistaggi

L’udienza preliminare di Caltanisetta, a carico di 4 agenti accusati di depistaggio sulla morte del giudice Paolo Borsellino, ci porta ad un salto all’indietro nel tempo che in questi anni si è compiuto più volte per scoprire la verità di un delitto collegato alle tante altre morti per mano mafiosa. In questo nuovo appuntamento in aula giudiziaria, Fiammetta, Lucia e Manfredi, i tre figli del giudice hanno chiesto conto e ragione allo Stato sulle indagini fallimentari.

Così, corre tra i tanti titoli di giornale che sono citati anche la Presidenza del Consiglio e il Viminale. I figli hanno quindi chiesto la costituzione di parte civile e anche la citazione dello Stato come responsabile civile. Richiesta analoga è stata avanzata anche da Salvatore Borsellino il fratello del magistrato ucciso negli anni Novanta.

La ricerca della verità e l’eredità morale di Paolo Borsellino

Giuseppe Falcone e Paolo Borsellino, nella loro foto insieme più famosa.
Giuseppe Falcone e Paolo Borsellino, nella loro foto insieme più famosa.

I poliziotti portati al gup del tribunale di Caltanisetta sono: Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli. Dichiararono il falso deponendo come testi nel corso del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via d’Amelio. In aula, erano presenti Giuseppe Di Gangi e Vincenzo Maniscaldi.

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L’avvocato Giuseppe Panepinto, legale che segue Maniscaldi, ha chiesto un termine per esaminale le richieste di costituzione di parte civile, quelle che precedono poi la richiesta di giudizio anche per Presidenza del Consiglio e Viminale. I legali dei figli di Paolo Borsellino sono Fabio Trizzino e Vincenzo Greco, hanno affermato “noi siamo sempre presenti in ogni sede dove si possa ristabilire la verità, sempre fedeli all’eredità morale del giudice Paolo Borsellino”.

In più hanno aggiunto, “abbiamo massima fiducia nei confronti delle istituzioni e della magistratura in particolare. Questo processo è un’appendice del processo principale che si è concluso che fa parte di una cornice all’interno della quale sembra esserci il coinvolgimenti di vari livelli istituzionali.

Il gruppo di indagine Falcone-Borsellino

La prima udienza preliminare si è tenuta a porte chiuse contro i quattro ex membri del gruppo d’indagine “Falcone-Borsellino”. Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli. Dichiararono il falso nel processo di primo grado sul depistaggio delle indagini della strage di via D’Amelio. Finirono sotto indagine dopo le loro testimonianze contro altri tre agenti accusati dello stesso reato.

L’avvocato dello Stato, Giuseppe La Spina si è costituito parte civile per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Interno.

Il GUP, David Salvucci ha fissato la prossima udienza per il 19 settembre. Fabio Trizzino, avvocato dei figli di Paolo Borsellino, ha sottolineato che la citazione della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell’Interno come responsabili civili non è un’accusa politica, ma un atto dovuto. La decisione riflette un quadro più ampio e complesso, che coinvolge vari livelli istituzionali. Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo, è considerato il regista del depistaggio.

Il ruolo di Arnaldo Barbera descritto nella relazione conclusiva dell’inchiesta sul depistaggio di Via D’Amelio

Via d'Amelio, fonte Wikimedia
Via d’Amelio, fonte Wikimedia

Le indagini sulla strage di via D’Amelio furono affidate ad Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo, noto per i suoi metodi investigativi controversi. Già a capo delle indagini sulla strage di Capaci, La Barbera, considerato un “duro”, arrivò a Palermo nel 1988 per “rifondare” gli uffici investigativi.

Il suo approccio predatorio alla giustizia emerge chiaramente: convinto della colpevolezza di un individuo, accumulava piccole contestazioni fino a raggiungere l’accusa principale. Questa tecnica coinvolgeva anche l’uso di altri detenuti per ottenere confessioni, spesso discutibili, dalle vittime. Tale metodologia è stata criticata per aver implicato ingiustamente molte persone nel processo, come riportato dal giudice Gozzo in Commissione.