Il suicidio di Diana, morta per un esame mancato

By Luana Pacia

Era il 27 febbraio quando le condivisioni di quella bella ragazza di nome Diana venivano pubblicate alla velocità della luce. Da Somma Vesuviana, il grido di allarme ha rapidamente raggiunto le città campane, propagandosi in maniera virale in tutta Italia. Il 1 marzo, un brutto risveglio: il corpo della ragazza è stato avvistato da alcuni passanti.

“Vado a ritirare la tesi”

Diana aveva solo 27 anni e un sorriso contagioso, il suo progetto era semplice: laurearsi in Lettere Moderne e proseguire il suo percorso di vita, magari come professoressa o chissà cosa altro le avrebbe riservato il futuro. Sogni semplici per essere felici. Anche i genitori non avevano dubbi in merito, tanto da non allarmarsi quando Diana è uscita presto quel mattino per recarsi a Napoli. C’era qualcosa che, però, non andava. Telefonate a vuoto, il mancato ritorno a casa. Solo a un certo punto, verso il pomeriggio, la ragazza ha inviato dei messaggi al padre in cui lo avvertiva che sarebbe passata in biblioteca a ritirare la tesi. Da quel momento in poi, Diana avrebbe vissuto le sue ultime ore di vita.

Non si conoscono ancora le ragioni che l’hanno spinta a gettarsi da un dirupo a Santa Maria di Castello, non Napoli. Bisognerà anche accertare se la ragazza sia davvero andata a Napoli o abbia peregrinato per le strade della sua città con mille angosce ferme al petto, la voglia di confessare ai genitori che non c’era nessuna tesi da ritirare, nessuna laurea, perché a Diana mancavano ancora un esame, forse più di uno, non importa sapere quanti. La ragazza ha ceduto alla paura, ha lasciato la sua borsa con i documenti in un punto raggiungibile, lanciandosi nel vuoto per sfuggire a quell’ansia grossa come un macigno.

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Una società che ha fallito

Non sono ancora date per certo le motivazioni del suo addio, ma gli inquirenti sembrano inclini a pensare che siano state proprio per la mancata laurea. Diana non è la prima ragazza capace di questo gesto, nel 2022 uno studente di 23 anni si era suicidato per la vergogna. Aveva detto ad amici e parenti che si stava per laureare in Giurisprudenza, non era vero ma la gogna di aver fallito è stata troppo forte da sopportare. Qualche mese prima, un altro studente di Medicina di 30 anni aveva scritto un’ultima lettera al Rettore in cui gli confidava la paura di perdere la borsa di studio. Era bloccato al terzo anno.

La lista degli studenti che decidono di togliersi la vita perché sono fuoricorso è lunga. Troppo lunga. Anche se fosse composta da un solo nome sarebbe troppo lunga. Una società che celebra i super laureati, complimentandosi per la loro capacità di dare 10 esami l’anno, senza dormire, lavorando e facendo anche beneficienza, praticamente dei robot più che degli esseri umani. Non è Diana ad aver fallito, colpevole di non sentirsi abbastanza, di non reggere il passo con le aspettative imposte da quella società che inghiotte i giovani e li sputa alla prima incertezza. E ancora una volta, una laurea vale una vita, senza che le istituzioni fermino questo gioco perverso.

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