Chi è la bambina di pietra?
Si chiamava Beatrice Naso, ed è deceduta a febbraio del 2018 a solo 8 anni di età, prigioniera di un corpo “di pietra”. Non ci fu una diagnosi precisa per la malattia di Beatrice, perché era una di quelle malattie classificata come ultra-rara. Significa che solo il 2% dei malati rari sono colpiti da questa patologia. Sta di fatto che il corpo della bambina trasformava la cartilagine in osso fino a renderla completamente prigioniera, come una statua.
A distanza di cinque anni dalla sua morte, è stata finalmente svelata la malformazione che colpì Beatrice. Le parole della zia, la scrittrice e blogger Sara Fiorentino, di fronte alla scoperta sono state:
“L’auspicio è che la ricerca su Bea possa regalare una speranza a chi ne ha bisogno. Anche se non poteva muoversi, era in grado di unire le persone. Questo è il suo ultimo regalo“
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Giornata mondiale delle malattie rare, colpiscono tra 263 e 446 milioni di persone
Sara Fiorentino pubblicò un libro nel 2019 per raccontare la storia di Bea (#leggera come una piuma; il mondo di Bea) e fondò anche una Onlus per ricordare sua nipote. Tramite la Nida (onlus) sono state fatte diverse volte donazioni agli ospedali, come il Regina Margherita. Ora si sta costruendo la cittadella dello sport alla Falchera (Torino) in ricordo della “bimba di pietra”.
Scoperto il gene ARHGAP36, “colpevole” della malformazione
Un team internazionali di ricercatori ha pubblicato sulla rivista “Nature” i risultati della loro ricerca, che ha identificato la causa della sindrome. L’anomalia è davvero molto rara: il gene ARHGAP36 produce una proteina in quantità molto più elevate di quanto dovrebbe, ma soprattutto la produce nel tessuto sbagliato: la cartilagine. Sarebbe detto gene ad indurre la formazione di tessuto osseo dove non dovrebbe essere presente.
Lo studio ci ha impiegato 13 anni ad avere un suo riscontro scientifico. La scoperta della malattia avvenne quando Beatrice aveva 9 mesi Ce ne accorgemmo quando Beatrice aveva nove mesi. Si era rotta il polso e bastò una Tac per scoprire che si era calcificato. Da lì è partita una lunga ricerca in tutto il mondo che ha portato alla recente scoperta.
Il lavoro di squadra nei migliori centri di ricerca del mondo
Il caso di Beatrice si rivelò subito non un caso raro, ma unico al mondo. Da lì partì la ricerca, iniziata attraverso la collaborazione tra i pediatri che avevano inizialmente approfondito il quadro clinico, il laboratorio di Genetica medica e malattie rare della Città della Salute di Torino e il Dipartimento di Scienze mediche dell’università di Torino. Per capire il complesso meccanismo alla base della malattia è stata necessaria una collaborazione con diversi centri italiani ed esteri.
I centri coinvolti nella ricerca sono diversi: l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, l’Università di Verona, l’Università di Lubecca e Kiel, in Germania, l’Università libera (Freie Universität) di Berlino, l’istituto di Genetica Molecolare Max Planck (Germania), l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, il Dipartimento di Biotecnologia di Salisburgo (Austria), l’Università di Pavia, il Julius Wolff Institute (JWI) di Berlino, il Berlin-Brandenburg Center for Regenerative Therapies (BCRT).
L’evoluzione della scienza e della medicina
La dott.ssa Elisa Giorgio, professoressa del dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia, che ha guidato l’attività Ricerca con gli altri colleghi, ha dichiarato che: “La ricerca ha bisogno di tempo e si costruisce sulle conoscenze che a mano a mano gli scienziati accumulano. Nel 2010 non avevamo i mezzi tecnologici né le conoscenze di base per capire la malattia di Bea“.
La tecnologia e i fondi utilizzati per costruire e utilizzare strumenti sempre più all’avanguardia consentono ai ricercatori di studiare le malattie rare e di trovare percorsi e meccanismi che possono essere utilizzati in altri settori. Ad esempio, la scoperta della presenza del gene ARHGAP36 nella formazione ossea potrebbe portare in futuro a conoscere meglio (e a combattere) le malattie ossee.
Per approfondire:
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