Stati Uniti: ecco che cosa è successo a Cannon House e con la polizia del Capitol
L’arrivo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu negli Stati Uniti ha provocato un’ondata di proteste, culminate nell’arresto di circa 200 persone all’interno della Cannon House, un edificio del Congresso. La polizia del Capitol ha dichiarato illegali le manifestazioni all’interno degli edifici del Congresso, ammonendo i manifestanti filo-palestinesi che protestavano contro il discorso di Netanyahu previsto al Campidoglio. Le proteste si sono estese anche all’esterno dell’hotel Watergate, dove Netanyahu alloggia, con un imponente dispiegamento di polizia, strade sbarrate, droni e motovedette sul Potomac.
Gli attivisti, appartenenti al gruppo Jewish Voice for Peace, hanno presidiato l’area con slogan come “Non nel nostro nome”, “Lasciate Gaza vivere” e “Fermate l’invio di armi a Israele”, indossando maglie rosse. Decine di deputati e senatori democratici, tra cui Alexandria Ocasio-Cortez, Dick Durbin, Bernie Sanders, Cori Bush, Jan Schakowsky, Chris Van Hollen, Jeff Merkley e James Clyburn, hanno deciso di boicottare il discorso di Netanyahu, accusandolo di essere un criminale di guerra per la gestione del conflitto nella Striscia di Gaza.
La polizia ha riferito che i manifestanti avevano legalmente accesso alla Cannon House, ma le proteste non sono consentite all’interno dell’edificio. La resistenza dei manifestanti a lasciare il luogo ha portato al loro sgombero forzato. L’arrivo di Netanyahu e il suo discorso al Congresso, un raro onore per un leader straniero, avviene in un momento di tensione politica negli Stati Uniti, con il presidente Joe Biden che affronta critiche interne ed esterne per il suo approccio al conflitto israelo-palestinese. Le proteste mettono in luce la crescente opposizione a livello nazionale contro il sostegno americano a Israele.
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Medio Oriente in attesa del nuovo presidente Stati Uniti, Netanyahu coglie l’occasione per incontrare anche Kamala Harris e Trump
Come riportano molti media, il viaggio del presidente israeliano negli Stati Uniti offre l’occasione per esaminare i due principali candidati per la prossima presidenza USA. Si prospettano equilibri futuri molto diversi tra Kamala Harris, che seguirà la linea di Biden e potrebbe addirittura rafforzarla in vista di un accordo per la convivenza pacifica tra palestinesi ed ebrei, e Donald Trump, più concentrato sulla crescita economica degli Stati Uniti e su una pace forzata.
Trump ha dimostrato un certo disinteresse per i conflitti internazionali, come ha fatto all’inizio della sua campagna elettorale riguardo all’Ucraina, dichiarandosi più interessato a fermare l’ondata migratoria verso gli Stati Uniti e l’arrivo di potenziali minacce terroristiche. Riassumiamo in breve, tutte le notizie intercorse in questi giorni sul viaggio negli Stati Uniti del premier israeliano e per stringere la mano a tre personalità diverse e decisive.
Le notizie intercorse in questi giorni sul viaggio del primo ministro israeliano
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è arrivato negli Stati Uniti per una serie di incontri cruciali. Giovedì, Netanyahu incontrerà la vicepresidente Kamala Harris e, probabilmente, il presidente Joe Biden. Venerdì, Netanyahu si sposterà in Florida per un incontro con l’ex presidente Donald Trump nella sua residenza di Mar-a-Lago. L’ufficio del primo ministro israeliano ha confermato che la delegazione tornerà in Israele sabato.
Nel frattempo, a Tel Aviv continuano le proteste contro Netanyahu. Si dice che la data dell’incontro con Trump coincida con il compleanno del figlio del premier, che vive in Florida. Durante la visita, Netanyahu ha incontrato Noa Argamani, ex ostaggio di Hamas, che ha espresso il suo dolore per le parole del premier sulla durata della guerra. Argamani ha esortato il governo a liberare rapidamente i 120 ostaggi ancora detenuti a Gaza. La guerra tra Israele e Hamas è al giorno 292, con Israele che annuncia progressi verso il rilascio degli ostaggi.
Il Piano della Cina sulla questione palestinese: coinvolge anche le Nazioni Unite ma fa arrabbiare Netanyahu
Alla vigilia del discorso di Netanyahu al Congresso USA, la Cina ha suscitato l’ira del premier israeliano proponendo un piano in tre fasi per risolvere la questione palestinese. Il piano cinese prevede un cessate il fuoco globale nella Striscia di Gaza, la governance palestinese della Palestina e la piena adesione della Palestina alle Nazioni Unite, con l’inizio della soluzione dei due Stati. Questo ha portato Hamas e Fatah a firmare un’intesa per un governo di riconciliazione nazionale ad interim a Gaza, sotto gli auspici cinesi. Netanyahu considera questa mossa come un’interferenza inaccettabile, che contrasta con la sua politica di sicurezza e di gestione del conflitto.