Il colera 50 anni dopo in Sardegna, ma è di fatto così?
In questi ultimi giorni a preoccupare la popolazione è stata la notizia non da poco conto del ritorno del colera. A quanto pareva, si era presentato un caso in Sardegna, dopo cinquant’anni. I più ansiosi si sono subito impanicati, perché il colera è una malattia contagiosa che potrebbe creare gravi problemi alla popolazione. Dopo 2 anni abbondanti di pandemia Covid-19, i più suscettibili hanno pensato ad un’altra emergenza sanitaria.
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Qual’è stato il caso di presunto colera?
Un anziano residente ad Arbus è stato ricoverato la prima settimana di luglio nel reparto di malattie infettive dell’ospedale Santissima Trinità di Cagliari, con una diagnosi “confermata” di colera. Sebbene le sue condizioni siano stabili ed in miglioramento, è opportuno dedicare qualche minuto di attenzione a questa malattia oramai non più riscontrabile in Europa.
Il paziente anziano, le cui generalità non sono state rese pubbliche per motivi di privacy, si trova ancora ricoverato. I primi sintomi, compatibili con quelli del colera, si sono manifestati circa un mese fa, rendendo difficile stabilire l’esatto momento dell’eventuale contagio. Anche se la sua situazione clinica è in miglioramento, l’allerta è rimasta sempre molto alta.
L’anziano era stato ricoverato al policlinico per pluri-patologie, compresa quella di una infezione cronica all’intestino. Si è trattato di un caso delicato, predisposto a manifestazioni di dissenteria anche per altra malattia. A destare i sospetti che non si trattassi esattamente di colera, come invece confermato in un primo momento, il fatto che l’anziano non avesse effettuato viaggi all’estero recentemente e che soffrisse di altre patologie.
Le smentite non sono ancora ufficiali
Quotidianosanità.it di Sardegna ha dichiarato oggi, mercoledì 12 di luglio, di avere appreso da fonti ufficiali che “i sintomi riscontrati nel paziente non sono assolutamente da collegarsi ai sierogruppi O1 e O139 del V. Cholerae che producono l’enterotossina che causa la temuta grave diarrea, spesso fatale. Potrebbe invece trattarsi di un sotto virione ambientale che causa la comune dissenteria. A breve giungerà la comunicazione ufficiale“.
Tuttavia, questo particolare caso ha portato il web a intensificare la ricerca della malattia. Vi raccontiamo in cosa consiste.
Qualche informazione sul colera
Come spiega l‘Istituto Superiore della Sanità, il colera è “un’infezione diarroica acuta causata dal batterio Vibrio cholerae. La sua tramissione avviene per contatto orale, diretto o indiretto, con feci o alimenti contaminati e nei casi più gravi può portare a pericolosi fenomeni di disidratazione”.
Il colera si è diffuso nel diciannovesimo secolo, spostandosi dalla zona dov’è nato originariamente (delta del Gange) verso il resto del mondo, generando sei pandemie che hanno ucciso milioni di persone in tutto il mondo.
Delta del Gange
I sierogruppi responsabili del colera
I sierogruppi che sono responsabili di casi confermati di colera sono due: il Vibrio cholerae 01 e il Vibrio cholerae 0139, produttori di enterotossina colerica. La principale riserva di questi patogeni è rappresentata dall’uomo e dalle acque, soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari, spesso ricchi di alghe e plancton.
I sintomi del colera
Nel 75% dei casi le persone infettate non manifestano alcun sintomo. Tra coloro che li manifestano, solo una piccola parte sviluppa una forma grave della malattia. Quando i sintomi sono presenti, prevale la diarrea, acquosa e marrone all’inizio chiara e liquida successivamente. In alcuni soggetti la continua perdita di liquidi può portare alla disidratazione. Mentre possono persistere vomiti e crampi alle gambe, la febbre non è un sintomo della malattia.
La terapia
Nel trattamento del colera è fondamentale la reintegrazione dei liquidi e dei sali persi con la diarrea e il vomito. La reidratazione orale ha successo nel 90% dei casi, può avvenire tramite assunzione di soluzioni ricche di zuccheri, elettroliti e acqua, e deve essere intrapresa subito. Il colera non è una malattia generalmente mortale; soltanto l’1% dei pazienti colpiti muoiono. Gli antibiotici aiutano ad accorciare la guarigione.