Genetica Green, nuove tecniche di evoluzione assistita (TEA)
La ricerca e la tecnologia non si fermano mai. E se riteniamo che l’unica cosa che non toccherà la Intelligenza Artificiale è la nostra natura, parzialmente ci sbagliamo. Perché anche essa, come fa il cambiamento climatico, può essere modificata grazie all’aiuto della scienza, che si basa su esperimenti e ricerche nelle quali utilizza algoritmi. E fin qui il collegamento. Di quali modifiche stiamo parlando? Si tratta di alterare il DNA delle nostre coltivazioni.
Ma, tranquilli, perché questa volta non si tratta di creare nuovi “Ogm”: la mutagenesi e cisgenetica (le tecniche nell’ambito della genetica green) non hanno nulla a che fare con gli organismi geneticamente modificati.
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In che cosa consiste il Green Deal europeo? Si tratta di un pacchetto di strategie che mira ad avviare l’Unione Europea sulla strada di una transizione verde per riuscire a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Non si tratta soltanto di strategie nel settore agricola, perché il pacchetto comprende progetti e proposte che riguardano clima, ambiente, energia, trasporti, industria, agricoltura e finanza sostenibile.
In merito ai prodotti agricoli, il nuovo quadro regolamentare per il miglioramento genetico distingue nettamente i vecchi Ogm dalle nuove tecniche di evoluzione assistita (Tea).
La distinzione tra Tea 1 e Tea 2 in funzione del numero di modifiche genetiche
La Commissione distingue tra le Tea di categoria 1 (ovvero quelle che non superano le 20 mutazioni), che seguiranno una procedura autorizzativa semplificata assimilabile alle varietà vegetali convenzionali, e le Tea di categoria 2 (sopra le 20 mutazioni o selezionate per resistere agli erbicidi) che vengono di fatto assimilate ai vecchi Ogm quanto a procedura autorizzativa, etichettatura e tracciabilità.
La Commissione non autorizza l’utilizzo delle Tea nell’agricoltura biologica e obbliga tutti gli Stati membri ad autorizzare la coltivazione delle Tea di categoria 2.
In che cosa consistono le Tecniche di evoluzione assistita?
Le nuove Tea non implicano l’inserimento di Dna estraneo alla pianta e permettono di riprodurre in maniera precisa e mirata i risultati dei meccanismi alla base dell’evoluzione biologica naturale, per rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici, della difesa della biodiversità e affrontare l’obiettivo della sovranità alimentare. Come procedimento, viene di fatto “tagliato” un punto del DNA predeterminato, inserendo o eliminando minuscole sequenze, addirittura una sola “lettera”, di un gene.
L’applicazione delle Tea consentirà al nostro Paese di difendere il proprio patrimonio di biodiversità dai cambiamenti climatici e di ridurre la dipendenza dall’estero. Inoltre, con questa sfida la ricerca italiana tornerà protagonista.
Coldiretti ha già sottoscritto un accordo con la Siga (Società Italiana di Genetica Agraria) che punta a tutelare la biodiversità della nostra agricoltura e a migliorare l’efficienza delle nostre produzioni attraverso, ad esempio, la presentazione di varietà più resistenti, con meno bisogno di agrofarmaci ed acqua, nella lotta contro pesticidi e siccità, in una ricerca condivisa da ambientalisti e consumatori.
Il parere favorevole della Scienza
Roberto Defez, senior researcher all‘Institute of Biosciences and BioResources del CNR rileva che la possibilità di utilizzare le Tea è un’opportunità che non va sprecata: “L’idea che intervenendo si possa generare un problema, e non viceversa favorire nuova biodiversità, è frutto di un nostro pregiudizio“. Secondo il ricercatore, conosciamo le piante e “possiamo favorire una loro risposta adattiva alle aggressioni e ai cambiamenti climatici“
Il ricercatore utilizza una metafora per fare comprendere l’importanza di lasciare che la scienza agisca in questo senso: “E’ come se finora avessero consentito di progettare un motore di nuova generazione per la Ferrari, vietando di far testare l’auto anche su una pista privata“.
Roberto Defez
Coldiretti, soddisfatto Prandini
Prandini parla della presentazione del regolamento come “una grande sfida per far tornare gli agricoltori protagonisti della ricerca senza che i risultati finiscano nelle mani di poche multinazionali proprietarie dei brevetti”, e sottolinea la necessità di “fronteggiare la sfida climatica, difendere e valorizzare il patrimonio di biodiversità agraria nazionale e la distintività delle nostre campagne, garantendo nuove possibilità di crescita e sviluppo all’agroalimentare nazionale”.
Ora non solo i pomodori devono essere maturi; anche i tempi di realizzazione dell’iter burocratico e della relativa esperimentazione. Come a dire? Prima di 4 o 5 anni non avremo sui nostri tavoli fagioli spagnoli resilienti; dovremo accontentaci di utilizzare quelli giapponesi o autraliani. Tanto, che non solo quelli soliti, chi ce lo dice?