In una intervista al Corriere dalla Sera Giorgia Soleri si racconta, e parla del suo libro, “La signorina Nessuno”, dove ripercorre momenti della sua vita particolarmente drammatici e difficili.
Giorgia e l’aborto
Non solo vulvodinia ed endometriosi: Giorgia nel suo libro ripercorre anche altri attimi del suo passato, di quando era giovanissima, momenti che una donna non potrà mai dimenticare. Si tratta dell’esperienza dell’aborto.
“Ero giovanissima, avevo problemi di salute mentale ed economici, non avevo un lavoro con entrate certe. Il momento in cui mi sono interfacciata col mondo sanitario è stato un’esperienza che mi è stata fatta vivere in modo estremamente negativo. La 194 ha lacune enormi che dovrebbero essere prese in considerazione. Invece rimane una legge fuori dal periodo storico in cui viviamo“.
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Giorgia parla di un incontro-scontro con la dottoressa, incontro in cui si è sentita umiliata: “Sono andata in consultorio e sono stata aggredita dalla ginecologa, che mi sgridò dicendo che noi giovani facciamo sesso senza precauzioni e usiamo l’aborto come contraccettivo, senza sapere nulla della mia storia”.
Lo stato e le sue colpe
Giorgia ha dunque lamentato il clima che si respira per i corridoi di quegli ospedali, di come la donna non sia tutelata affatto all’interno di un contesto che già di per sè come ci si può immaginare estremamente difficile, vista la scelta che si sta per prendere.
Così difficile, questa scelta, che Giorgia, infatti, “Sperava di non svegliarsi al mattino”.
“Un’assistente sociale indaga sulla tua famiglia per capire se ci siano traumi che ti hanno portato ad abortire con domande violente e invadenti a cui non vorresti rispondere poiché, qualsiasi sia il motivo della scelta, l’aborto è un diritto. Per sette giorni devi soprassedere, non puoi abortire: è come se lo Stato dicesse “ti permetto di fare questa cosa brutta, tu vai in castigo sette giorni, pensaci, se hai ancora il coraggio di farlo, va bene”.
“Ci sono donne che abortiscono senza senso di colpa, è ingiusto obbligarle a vivere questa esperienza in modo traumatico quando è possibile accompagnarle. Piuttosto di un colloquio con l’assistente sociale, proporrei delle sedute di psicoterapia.”