In mare vestite, 50 donne difendono l’interculturalità
Sapete che a noi di Ultimedalweb piace parlare d’inclusività e di solidarietà. E per questo abbiamo scelto di raccontarvi l’iniziativa che si è tenuta ieri, domenica 20 agosto, a Trieste, a favore delle donne musulmane. In un lido cittadino, un gruppo di circa 50 donne hanno fatto il bagno in mare vestite. Ma perché? Vi raccontiamo quello che è accaduto la domenica precedente e la “rivalsa” di ieri.
Per approfondire:
8 marzo: entrata gratuita nei luoghi di cultura per le donne. Dove andare?
Iscriviti gratuitamente sul canale Telegram, cliccando qui
oppure su Whatsapp, cliccando qui per non perdere tutte le novità
Giornata mondiale del bikini, le ultime 4 tendenze
Il pregresso, le polemiche della scorsa domenica
La domenica precedente, 13 agosto, un gruppo di donne musulmane, che faceva il bagno nello stesso lido protagonista della manifestazione di ieri, sono state contestate perché vestite. Alcune si erano immerse in burkini (o burqini, che è il costume da bagno che copre quasi l’intero corpo), mentre altre erano in acqua con i vestiti abituali. Alcune frequentatrici dello storico posto si sono scagliate contro le musulmane, considerando la loro azione “poco pulita”. E’ nato un alterco che solo l’arrivo delle forze dell’ordine è riuscito a placare.
La rivalsa: “Inquina più una nave da crociera o un vestito?”
Ieri, la rivalsa. Con cartelli come “Inquina più una nave da crociera o un vestito?” una cinquantina di donne si sono immerse in mare vestite, per protesta contro l’emarginazione delle musulmane. Una signora che si era definita non razzista ma piuttosto “una persona pulita” aveva espresso così il punto di vista delle “igieniste”: “Il problema non è che vengano a fare il bagno con gli abiti, ma il fatto è che con quegli abiti se ne sono andate in giro ovunque e non è igienico“.
Altri cartelli recitavano “La biodiversità è bella” e “Al Pedocin vogliamo stare in pace“, inteso come tutti insieme, senza distinzione …. di razza, cultura e religione, si intende perché di sesso sì, eccome!
Il Pedocin, luogo della manifestazione, le donne separate dagli uomini
Di fatto, lo stabilimento teatro delle contestazioni si trova in una zona di passaggio delle navi, perlopiù, traghetti. Pertanto, l’opinione delle “igieniste” è balzata sui giornali con qualche punto di domanda. Chi ha seguito più o meno la storia del lido sa che il Pedocin di Trieste (che si chiama in realtà “La Lanterna”) è uno stabilimento balneare storico e caratteristico, situato nella zona del porto della città. Il suo nome locale deriva dal dialetto triestino, in cui “pedocìn” significa “piccolo piede”.
Lo stabilimento è famoso per avere un muro che divide la spiaggia in due parti: una per le donne e i bambini fino ai 12 anni, e l’altra per gli uomini. Questa tradizione risale al 1903, quando il bagno fu inaugurato, e da allora è rimasta invariata. Per l’appunto, da sé non sarebbe proprio un esempio d’inclusività. Tuttavia, per un giorno (ieri) è stata violata la sacralità con la folla di giornalisti e cameramen maschi (e forze dell’ordine) entrati nel comparto donne al seguito delle manifestanti, un centinaio di persone in tutto. Tra di loro, anche alcune donne musulmane.
Foto Ansa: “il cerchio di riconciliazione”.
Gli uomini: “Tornatevene a casa vostra”
Ma si sono anche riproposte le contrapposizioni tra i bagnanti, e non sono mancate le voci critiche anche dal settore maschile: “Tornatevene a casa vostra!” con l’aggiunta di qualche espressione alquanto volgare, razzista e sessista.
La condanna di discriminazione e la libertà di scelta
La vicepresidente dell’Associazione culturale islamica di Trieste, Nurah Omar, è intervenuta per esprimere il proprio parere su un argomento che ritiene discriminatorio. La donna ha detto: “Se una donna italiana non musulmana avesse deciso di andare al mare vestita o di coprirsi per ragioni di salute o perché non si sente a suo agio con il proprio corpo, non ci sarebbe stata nessuna discussione“.
Nurah Omar
Gianfranco Schiavone, presidente di Ics, che si occupa di migranti, ha ricordato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo: “Sancisce una inderogabile libertà della persona a manifestare il proprio credo in pubblico, anche attraverso l’abbigliamento“