Giustizia europea, violenza domestica sulle donne e protezione internazionale
La giornata di oggi è molto importante per le donne che hanno subito violenza domestica dal proprio compagno e con la compiacenza di famigliari o comunque di complici. Infatti, la corte di giustizia europea chiarisce le condizioni per poter beneficiare della protezione internazionale. E lo fa con la pubblicazione numero 7/2024 di oggi, tutto nasce da una sentenza nella causa c-621/21. Raccontiamo che cosa è successo e come una donna scappata dalla propria famiglia è riuscita ad ottenere lo status di rifugiato in un altro paese.
Il caso di violenza domestica che ha portato una donna a fuggire dalla Turchia alla Bulgaria
Il caso è dello scorso aprile, una donna turca, di origine curda, confessione musulmana sunnita, e divorziata è stata costretta al matrimonio dalla sua famiglia. Viene picchiata e minacciata dal marito, fugge e riesce a raggiungere la Bulgaria. Presenta la domanda di protezione internazionale chiarendo che la sua vita è a rischio se rientra in Turchia. Deve rimanere oppure spostarsi in uno stato che non la respinge per motivi di incolumità personale.
Le donne nell’insieme sono gruppo sociale spesso soggetto a discriminazioni, violenze e costrette a fuggire dal proprio paese
I giudici arrivano ad una decisione importante mettendo insieme le norme presenti nella legislazione europea e chiariscono una cosa importante. Ai sensi della direttiva 2011/95, le donne, nel loro insieme possono essere considerate come appartenenti ad un gruppo sociale e, quindi, beneficiare dello status di rifugiato qualora siano soddisfatte le condizioni previste.
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Infatti, la protezione internazionale la possono richiedere coloro che nel loro Paese di origine sono esposte a violenza domestica, sessuale, mentale, economica, fisica e a causa del loro sesso. E rientra nella più grande definizione di status di rifugiato, che si può ottenere per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o di appartenenza ad una particolare gruppo sociale.
La protezione sussidiaria per chi subisce violenza domestica
Il giudice bulgaro chiamato per la causa della donna turca ha chiarito quando può essere applicata la protezione sussidiaria. Può succedere che nonostante si sia in pericolo di vita nel proprio paese e costretti alla fuga, non si rientri nelle definizione o nello status di rifugiato. Si interviene con la protezione sussidiaria, prevista per cittadini di un paese terzo che hanno fondati motivi di correre rischio effettivo di subire grave danno nel proprio paese di origini. Per gravi danni indichiamo trattamenti inumani o degradanti e anche il rischio di essere imprigionati o giustiziati.
La violenza basata sul genere riconosciuta come forma di persecuzione
In questa sentenza si arriva ad una constatazione importante che però l’Unione Europea aveva già recepito integrando anche al Convezione di Instabul. La violenza contro le donne basata sul genere è una forma di persecuzione. Per questo, in qualsiasi stato comunitario e non possono beneficiare o dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria.
Infatti, trattamento inumano e degradante o rischio per la propria incolumità vengono riconosciuti nel rischio di da parte delle donne di subire minaccia effettiva, attivi di violenza da parte di un membro della famiglia, da parte di più individui o della comunità con l’accusa di presunta trasgressione di norme culturali, religiose o tradizionali.
Il fenomeno del femminicidio e della violenza di genere in questi anni si è allargato toccando anche paesi dalle norme e dai sistemi culturali e sociali avanzati, dove parole come discriminazione, matrimoni forzati, esclusione dal lavoro e dalla gestione economica dovrebbero essere da tempo nel dimenticatoio. In Italia, molte donne non fuggono in altri paesi perché la legge è dalla nostra parte ma, purtroppo, la valigia da riempire per scappare e nasconderci nella case rifugio è realtà.