I figli di WhatsApp fanno 20 errori quando scrivono un testo breve

By Ana Maria Perez

I figli di WhatsApp scrivono male

Non vi domandate chi sono i figli di whatsApp vero? Non fatelo! Perché sono la generazione Z; cioè, quella che va tra i medio-tardi anni novanta del XX secolo e i primi anni duemiladieci. E, come abbiamo accennato nel nostro titolo, fanno tanti errori quando scrivono. Perché? E’ vietato scrivere con emoticon, parole mezzo tagliate, espressioni in inglese contorniate da tanti “bro” e “fra”? No, niente di tale! Si può fare e si fa. Il problema è che quando questi ragazzi devono redigere un testo semplice in italiano commettono tantissimi errori, soprattutto di punteggiatura. Sì, perché le emoticon e i gif non hanno regole, ma l’italiano sì.

Vediamo cosa succede esattamente e quali sono le difficoltà dei nostri giovani con la loro lingua madre: se qualcuno pensa sia l’elettronica, si sbaglia!

Whatsapp
photo credits: pixabay

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Scrivere a fiume, ma di parole?

I ragazzi nati negli ultimi 12 – 25 anni scrivono, sì, indubbiamente. In continuazione. Vi capita di vedere i ragazzi senza un cellulare in mano chiacchierando con interesse con un proprio coetaneo? Se sì, siete fortunati. A me non capita mai! I ragazzi che incrocio per strada scrivono sempre, messaggi brevi, curiosi, spesso spiritosi, arricchiti di emoticon. Il testo è davvero ispirato sul contenuto che invia l’interlocutore, che può essere anche un social network, come ad esempio l’esigenza di fare un BeReal. Risultano? Scrivono questi ragazzi, sì, vero?

E, invece ora passiamo alla parte dolente del post, perché in questo post non lodiamo la capacità dei giovani di scrivere, ma l’incapacità di scrivere bene. Ma come? Sì, certo. Di scrivere bene in italiano, la loro lingua. Vediamo perché.

Il progetto Univers-Ita parla da solo

Vi parliamo di uno studio guidato da Nicola Grandi, ordinario di glottologia e linguistica a Bologna, che, insieme ai colleghi dell’Università di Pisa, Macerata e Perugia, ha coinvolto 2.137 studenti di 45 atenei italiani per valutare le loro competenze linguistiche. Lo studio ha le sue radici nel 2017, quando, racconta Grandi “una lettera inviata da seicento professori al presidente del consiglio, al ministro dell’istruzione e al parlamento denunciava le carenze linguistiche degli studenti, messi sotto accusa per l’italiano scritto con errori “appena tollerabili in terza elementare”. Il documento mi colpì, anche perché non si basava su alcun dato scientifico

E fu così che al Prof Grandi venne l’idea di creare questo progetto che soprannominò Univers – Ita, e diede sostanza alla prima ricerca italiana sulle capacità di scrittura degli studenti universitari. A ogni partecipante è stato chiesto di redigere un testo formale tra le 250 e le 500 parole, un elaborato in cui si doveva mettere nero su bianco la propria esperienza durante il lockdown, dato che era la primavera dell’anno 2021.

Nicola

I risultati dell’esperimento: una media di 20 errori in ogni elaborato

Per correggere gli elaborati, il team si è basato su diversi parametri, quali la ricchezza del lessico, la punteggiatura e gli errori grammaticali. Il risultato finale? In media, su ogni testo ci sono 20 errori, di cui la metà di punteggiatura. Secondo quello che racconta Grandi a Repubblica, “l’abitudine alla scrittura in ambito informale sembra aver pervaso l’ambito formale. Una sorta di parlato digitato, con una assai limitata articolazione sintattica e una struttura dell’argomentazione abbastanza “spezzettata”. Cioè, quello che fa chi è abituato a usare il linguaggio social (il più usato, whatsApp).

Un capitolo da dimenticare nel test: la punteggiatura

Secondo quanto raccontano i linguisti, la punteggiatura era usata proprio “a caso”, come si potrebbe scegliere un brand di banane al supermercato. Perché non un punto e virgola anziché una virgola? Vero è che, come dichiara il professore: “la punteggiatura non è, come spesso si insegna, solo un fatto grafico, ha un forte valore testuale, cioè scandisce l’organizzazione del testo“. E, allora, perché è risultata così poco precisa? Sarà “colpa del Covid”, come tante altre giustificazioni?

Grandi non crede che la pandemia possa giustificare questa carenza di precisione. Anzi; i risultati parlano chiaramente: solo il 17,5% del campione legge più di dieci libri in un anno, mentre il 52% scorre velocemente cinque volumi in 12 mesi. Lascia senz’altro perplessi il fatto che gli studenti di area scientifica siano più bravi nella redazione di un testo rispetto agli umanisti. Inoltre, chi frequenta un ateneo del nord ha un lessico più variegato rispetto a chi è iscritto in un’università del centro Italia.

libro

La scrittura informale dei social e l’esigenza di insegnare a scrivere a scuola

Su 62 corsi di laurea sono emersi appena 14 insegnamenti finalizzati a rafforzare le abilità di scrittura. Veramente poco, a parere dei linguisti. Di fatto, fino a pochi anni fa, i testi in genere si scrivevano in ambiente scolastico. Tutti gli studenti sapevano che i loro elaborati sarebbero stati sottoposti a correzioni. Tuttavia, la diffusione della tecnologia ha cambiato i parametri e ora è proprio necessario che la scuola trovi il punto di incontro, perché non basta sequestrare gli apparecchi ai giovani per qualche ora: non appena si troveranno da soli, imperverseranno ancora nei loro testi le emoticon, “bro”, “fra”, “top” ecc al posto di rime e coniugazioni.

Speriamo che i prossimi concorsi per insegnanti presentino proposte che prevedano, assieme alle capacità tecniche di interazione su diverse piattaforme, la capacità di conquistare e convincere con la parola. Senza l’emoticon!

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