Annalisa, “mon amour” e il fascino delle parole straniere nella musica del 2023

By Ana Maria Perez

Annalisa e il suo hit “mon amour”

Recentemente vi abbiamo parlato dei cambiamenti epocali accennati nella canzone “coca Zero” dei Pinguini Tattici Nucleari. Anche se qualche nonnina arzilla ai passi con i tempi non sarebbe molto d’accordo.

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Pinguini Tattici Nucleari Di Dario Crespi – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=120121989

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Oggi, vorremmo riflettere insieme a voi sul valore delle parole straniere nella musica italiana.

E’ chiaro che nell’epoca della globalizzazione i cantanti italiani spesso traducono i loro brani (o li compongono) in altre lingue, per trovare anche follower e vendite fuori dai nostri confini. alcuni esempi noti sono: Elisa (No Hero composta in inglese), Zucchero (Guantanamera, cantata in spagnolo), Eros Ramazzotti (Soy/sono, cantata in spagnolo e italiano insieme al celebre cantante spagnolo Alejandro Sanz), Laura Pausini (Strani Amori), Sangiovanni (di Amici) e la sua “farfalle” tradotta in spagnolo in “mariposas” (un grandissimo successo) e tanti altri.

Un’altra questione riguarda i cantanti italiani che inseriscono termini stranieri nelle loro canzoni per aggiustare la rima o per rendere il loro messaggio un poco più “cult”, “social” o irriverente, come nel caso dell’ultimo hit di Annalisa, “mon amour“.

Le parole miste nella canzone di Annalisa addolciscono il tradimento

Che vogliamo o no, dobbiamo farcene una ragione. Le persone girano, si mescolano, imparano le lingue; alcuni termini sono difficili da tradurre, e l’inquinamento dei vocaboli stranieri è sempre maggiormente presente nel nostro modo di esprimerci e nelle nostre canzoni. A volte scegliamo il termine in un’altra lingua perché “rende di più”, che ne dicano i puristi. Come nel caso di Annalisa. La sua “mon amour” è piena di termini in inglese e in francese che senz’altro non disturbano; anzi, la rendono molto più leggera. Non pensate? Vediamolo assieme.

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Annalisa Scarrone, Di Daniele Napolitanoderivative work: Regi51 – Questo file deriva da: Annalisa Scarrone, Milano, 3 maggio 2013.JPG:, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46846549

Intanto, la canzone racconta il momento che c’è tra una relazione finita che lascia una profonda delusione e la voglia di ricominciare. Ma quali sono i termini che aiutano Annalisa a raccontare il momento con leggerezza?

Sangue nella dance floor

Se Annalisa avesse usato la parola italiana “pista” anziché “dance floor” abbinata al sangue…. non vi avrebbe fatto pensare a una carneficina?

Sexy boy, sexy boy

Questa volta la sexy non è LEI, ma LUI, che alla luce delle parole, la tradisce

Ho visto lei che bacia lui
Che bacia lei che bacia me
Mon amour, amour
Ma chi baci tu?

La confusione dei baci è attutita dall’espressione francese “mon amour, amour”, con la quale Annalisa “deride” il tradimento.

Ehi garçon, ho un’idea

Il termine francese per rivolgersi al suo “lui” rende l’idea che la “vittima” ha superato il trauma amoroso. Lui è solo un “ragazzo”; niente di più.

Le parole straniere nella musica, l’inglese nella musica

L’inglese è sempre più presente nelle nostre vite e parole arrivate dagli Usa o dal Regno Unito si stanno via via sostituendo a termini di uso corrente nella nostra lingua che vengono speso a volte italianizzati (spoilerare, scippare, twittare, bleffare….). La tendenza non ha risparmiato il mondo della musica, che è fortemente influenzato dai termini anglosassoni, diventati un classico tra le canzoni di alcuni degli artisti più famosi italiani. Spesso si tratta di un’esigenza di trovare la rima giusta. Vi facciamo alcuni esempi:

Vita spericolata di Vasco Rossi (“e poi ci troveremo come le star / a bere del whisky al Roxy bar”, 1983) o Fotoromanza di Gianna Nannini (“questo amore è una bomba all’hotel questo amore è una finta sul ring”, 1984), oppure jeep rima con vip (Jovanotti, Scappa con me, 1989) e cadillac con frac (ancora Jovanotti, Mi fido di te, 2004); robot di volta in volta con però (883, Sei un mito, 1993), con un po’ (Povia, I bambini fanno «Ooh…», 2005) oppure con non ho, come in Malinconia di Marco Masini (1991).

A volte ci troviamo anche con termini inventati, come il Tranqui funky e il Funkytarro degli Articolo 31 (1996), nati dalla combinazione tra tranqui ‘tranquillo’ e tarro ‘buzzurro’; o come la Svalutation di Adriano Celentano (1976). Ma questa è un’altra storia, che vi racconteremo (forse) un’altra volta.

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