Hikikomori: chi sono i giovani in “autocarcerazione” che non escono mai di casa

By Redazione

Isolati dal mondo, nessun contatto umano reale, vivono la loro vita nella loro cameretta e la loro finestra sul mondo è rappresentata dal pc o dallo smartphone.

Sono gli “hikikomori”, termine giapponese che significa letterlamente “confinato, isolato”, e sono giovani (talvolta anche giovanissimi) che non escono mai di casa.

Allarme hikikomori, in aumento con la pandemia

La pandemia ha contribuito ad un forte e dilagante isolazionismo, peggiorato negli ultimi 2 anni.

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La Sicilia, come riporta Repubblica, ha così dato vita a una iniziativa per sensibilizzare su questa problematica che si sta facendo sempre più seria.

A denunciare il problema dilagante, l’associazione Hikikomori Italia presente anche in Sicilia, dove nei giorni scorsi è stato firmato un protocollo di intesa con l’Ufficio scolastico regionale della Sicilia per informare i genitori e le famiglie sulla portata del fenomeno, sui segnali da percepire e per aiutarli.

“In Italia sono circa centomila i ragazzi che scelgono di isolarsi nelle loro stanze – dice Marcella Greco a Repubblica, coordinatrice dell’associazione– ma è difficile avere una stima precisa, perché il fenomeno,  è ancora sommerso, anche se consistente. Basti pensare che  io ricevo, in media, due telefonate alla settimana da parte dei genitori siciliani che chiedono aiuto per i loro figli isolati”.

Chi sono i ragazzini risucchiati nel gorgo dei “fantasmi”?

L. vive a Catania, ed a 14 anni è entrato in uno stato di isolamento totale.

“Mio figlio – racconta mamma Francesca a Repubblica, inizialmente non voleva più andare alle festicciole dei compagni,  ha smesso di fare sport e nel tempo si è rifiutato di andare a scuola. I professori dicevano che era soltanto uno svogliato. I mal di pancia divenivano sempre più frequenti, fino a quando un giorno è stata chiamata l’ambulanza perché mio figlio era svenuto. Da quel momento, ho capito che i suoi non erano capricci, ma che L. stava davvero male  Sono stati cinque anni da incubo nei quali lui dormiva sempre, non apriva mai la finestra della sua camera, non mangiava fino a diventare anoressico. Un giorno gli abbiamo regalato un computer con il quale ha iniziato a interagire con il mondo esterno, sia pure virtualmente. Grazie all’aiuto dell’associazione che vanta un team di esperti e psicologi qualificati, ho capito che L. aveva soltanto bisogno di tempo, che noi non avremmo dovuto essere oppressivi, ma presenti e senza aspettative. Alla fine ce l’ ha fatta: L. è tornato a fare sport, è riuscito a recuperare l’anno perso a scuola e ha sostenuto gli esami di maturità di presenza. Oggi è iscritto all’università e la sua vita prosegue come quella di tanti altri giovani, seppure rimane un ragazzo molto diffidente”.

Marcella Greco esorta le scuole a svolgere “il lavoro che deve essere svolto, perché sono giovani particolarmente intelligenti con una sensibilità molto più accentuata rispetto ai coetanei e il loro isolamento è anche una forma di protesta contro quella società che conoscono e che non gli sta più bene. I professori dovrebbero avere la sensibilità di non demonizzarli per i loro eventuali insuccessi scolastici, così come la famiglia non dovrebbe nutrire aspettative esagerate”.

Uno spettacolo per rappresentare la problematica

Gioacchino Cappelli, 31 anni, attore, figlio dell’attrice Lucia Sardo e del regista Marcello Cappelli, è stato aiutato a uscire dal tunnel grazie al teatro.

Così, da ex hikikomori, ha deciso di rappresentare il lungo viaggio verso la luce con lo spettacolo “C’è nessuno” scritto, diretto ed interpretato da lui.

Lo spettacolo andrà in scena oggi, 16 maggio, al teatro Politeama di Palermo.

“Giocavo dalle 12 alle 18 ore al giorno – racconta Cappelli– e sono andato avanti così per  due anni. Poi, pian pianino, grazie al teatro sono riuscito a uscire da questo guscio infernale e oggi insegno recitazione ai ragazzi con i quali si è instaurato un rapporto meraviglioso perché i giovani vogliono essere ascoltati

“Bisogna uscire, vedere la luce del sole e magari andare al teatro”.

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