Cervello e salute mentale: fa bene sognare ad occhi aperti? Questa e altre scoperte importanti delle neuroscienze

By Iole Di Cristofalo

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Fonte foto: pixabay

Il cervello e l’importanza di studi, ricerche e scoperte

Le neuroscienze impiegano molto tempo e molte ricerche a studiare abitudini elementari del nostro cervello che spesso noi diamo per scontato nella nostra quotidianità. Ad esempio, il pensare o il sognare ad occhi aperti, la velocità di riconoscimento del cibo, il non riuscire a svegliarsi subito e scegliere di dormire magari posticipando la sveglia.

Questi tre ambiti già ai neuroscienziati danno molte risposte sulle funzioni del nostro cervello e della nostra mente utili al benessere, alla salute. Danno risposte importanti sulla qualità e velocità delle funzioni celebrali, quelle da ripristinare o curare quando insorgono malattie importanti come la demenza senile o l’Alzheimer, patologia invalidante che ogni anno porta medici e neuroscienziati ad incontrarsi per fare il punto della situazione su terapie e nuove scoperte.

Con il nostro articolo, raccogliamo alcune informazioni importanti ottenute da studi su abitudini quotidiane e nuovi ambiti sociali e professionali, ad esempio la differenza tra il lavorare in smartworking o in ufficio che ha stravolto molte abitudini e anche attitudini mentali.

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Sognare ad occhi aperti è l’equivalente del ragionare

sognare occhi aperti

La mente ha la necessità di ricordare, ragionare su esperienze passate per trasformarle in risorse utili per il futuro. Tutto ciò lo fa anche attingendo dalla fantasia e dall’immaginazione, specie quando si sogna nel sonno ma anche con il sogno ad occhi aperti. Insomma, quando si sta per qualche minuto tra le nuvole non stiamo perdendo tempo ma stiamo consolidando memorie acquisite ed esperienze apprese.

Lo dicono i neuroscienziati di Harvard che hanno dedicato uno studio su questa attività e ne hanno pubblicato un articolo su Nature. Le sperimentazioni sono state fatte sia sugli animali che sugli uomini, dimostrando che nell’attività di riflessione, pause mentali e sogni lucidi il cervello acquisisce capacità riparative o rigeneranti e non solo, rafforza le capacità di resistenza psichica e di attivazione soprattutto per i momenti di difficoltà ed emergenza. E’ come se nel sogno o nella riflessione ci allenassimo. Articolo pubblicato su Nature.

Quanto ci mette il nostro cervello a riconoscere un alimento rispetto ad un altro?

acquolina in bocca

Quanto impiega il nostro cervello a riconoscere il cibo e quali funzioni attiva per essere il più rapido possibile?

Una risposta del genere può sembrare scontata ma se vivessimo allo stato brado, messi in pericolo da altri animali o intemperie ambientali la necessità di essere super rapidissimi e bravi a riconoscere un alimento rispetto ad un altro, e soprattutto se è velenoso, nocivo e salutare soltanto utilizzando occhi e naso si comprenderebbe benissimo.

Per i ricercatori dell’Università di Sydney però questa ricerca serve per comprendere la velocità di pensiero utilizzando diversi stimoli: gusto, tatto e vista. Una capacità che può essere compromessa da patologie ma anche da incidenti improvvisi, non sempre però la capacità di riconoscimento del cibo viene compromessa perché spesso, spiegano gli scienziati, è l’ultima risorsa che rimane per sopravvivere.

Gli scienziati hanno calcolato 108 millisecondi di tempo nel riuscire a riconoscere e definire un alimento rispetto ad un altro, si utilizzano tre organi diversi: occhi, naso e gusto, talvolta anche l’orecchio utile ad approfondire la consistenza del cibo insieme al tatto e al gusto.

Un ricercatore, Tom Carlson, spiega così queste scoperte: “per i nostri antenati, la visione era il senso principale utilizzato nella raccolta di cibo, visto che gli altri sensi, come l’olfatto, hanno un raggio limitato per gli esseri umani“. Le ricerche si sono concentrate sull’attività elettrica del cervello nel riconoscere alimenti naturali e processati, 40 e i 60 millisecondi servono solamente per far arrivare le informazioni visive raccolte dalla retina fino al cervello, il riconoscimenti risulta in effetti praticamente istantaneo.

Dormire a lungo e non sopportare la sveglia mattutina è un’autodifesa del cervello

il sonnellino pomeridiano

Posporre la sveglia di cinque minuti fino a quindici la mattina, quando dovremmo alzarci molto presto, gli inglesi lo chiamano snooze.

Così come, gli inglesi, hanno dato un nome specifico anche alla siesta pomeridiana oppure di riposo dopo un’attività faticosa o anche una sessione di studio o attività mentale intensa o difficile. Si tratta di sistemi di resistenza del nostro cervello e anche di capacità di recupero importanti per la nostra mente e il nostro fisico. Lo scrivono gli studiosi dell’Università di Notre Dame che hanno dedicato le loro ricerche sul sonnellino, lo snooze.

Indagando su oltre 1.700 partecipanti, il 60% dei quali praticava il sonnellino, la ricerca suggerisce che un sonnellino di circa 30 minuti può migliorare le capacità cognitive e facilitare un risveglio meno traumatico. Anche se non influisce sullo stress, sull’umore o sull’architettura del sonno, potrebbe aiutare coloro che lottano con la sonnolenza mattutina.

Covid e smartworking: quanti cambiamenti difficili ha dovuto sopportare il cervello in questi anni?

coronavirus

I neuroscienziati si sono concentrati anche sui cambiamenti causati dal Covid e dalla pandemia. Iniziamo dalle conseguenze della patologia provocato dal contagio con il nuovo coronavirus.

Un gruppo di ricerca ha utilizzato la risonanza magnetica di diffusione per esaminare il cervello di 16 pazienti con sintomi di post covid, gli scienziati hanno rilevato una differenza importante nella struttura della materia bianca rispetto a persone sane. Il Covid ha provocato un cambiamento strutturale nei cervelli delle persone che hanno vissuto la malattia. Questi risultati, pubblicati su Brain Communications, offrono nuove prospettive sui problemi neurologici legati al virus.

La tecnologia di imaging è sensibile ai cambiamenti nella disposizione degli assoni delle cellule nervose, contribuendo a comprendere l’impatto del COVID-19 sul cervello. Il team di ricerca delinea la necessità di ulteriori indagini per valutare i cambiamenti nel tempo e il collegamento tra alterazioni nella materia bianca e l’attività cerebrale nei pazienti affetti da affaticamento post-COVID.

Lo smartworking: fa bene lavorare da casa oppure no? Ecco cosa ne pensano psicologi e neuroscenziati.

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Con la pandemia, lo smartworking è diventata realtà oggettiva, ma il lavoro da casa esisteva anche prima e i suoi effetti su persone e aziende venivano già studiati. Neuroscienziati e psicologi hanno fornito già prime informazioni importanti. L’ambiente influisce profondamente sulla salute psicofisica, soprattutto nel contesto lavorativo da remoto.

Lo smart working, sebbene flessibile, può generare stress abitativo, sovraccarico cognitivo e isolamento. La mancanza di interazione fisica impedisce l’attivazione dei neuroni specchio, provocando stanchezza da videoconferenza. Il cervello si adatta alla routine, ma questo può complicare il ritorno in ufficio. Illuminazione, postura e personalizzazione degli spazi sono essenziali per ridurre lo stress.

Pause attive, tecniche di mindfulness e connessione con la natura durante il lavoro da casa migliorano la salute mentale. Forme, colori e materiali influenzano il benessere psicobiologico: linee rette generano stress, mentre forme naturali favoriscono il recupero dallo stress. Lavorare in natura può attivare il sistema nervoso e migliorare l’umore, in fondo la possibilità di poter scegliere tutti i giorni dove svolgere la propria attività professionale è una delle grandi potenzialità dello smartworking reso difficile però dalla praticità soprattutto per lavoratori e lavoratrici con carichi di famiglia importanti, ad esempio cura di bambini piccoli o anziani.

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