La pandemia e il disagio psichico giovanile: “Cogliere i segni di disagio”

By Redazione

Negli ultimi anni, non vi è dubbio, gli adolescenti sono sprofondati in un senso di smarrimento e depressione che li ha afflitti sempre più.

Questo senso di smarrimento ha finito per trascinarli nel baratro della depressione, finendo spesso in questo tumulto di emozioni cui non sanno come reagire.

E’ quello che è accaduto ad Alessandro, il 13enne di Gragnano morto suicida la scorsa settimana, perché bullizzato dai compagni di classe.

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La crisi è forte tra i giovani

Nel 2021, riporta Avvenire, ” le chiamate di persone attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate per il possibile suicidio di un caro sono state quasi 6mila: oltre il 55% rispetto al 2020, quasi quattro volte tante rispetto al 2019, cioè prima della pandemia. E c’è di più: quest’anno, delle 2.700 telefonate d’emergenza già registrate, il 28% hanno visto come protagonisti giovani sotto i 25 anni”.

La punta di iceberg di un mondo sommerso che riguarda adolescenti tra i 14 ed i 19 anni impauriti e insoddisfatti delle loro vite.

E’ allarme tra scienziati e neuropsichiatri.

Avvenire ha dunque intervistato il prof. Maurizio Pompili.

Sui segnali da cogliere, l’esperto dice. “Innanzitutto andrebbe sempre prestata grande attenzione alle comunicazioni verbali: frasi come «mollo tutto» o «a che serve vivere» o ancora «non ce la faccio più» non dovrebbero essere mai sottovalutate. Il sonno è un’altra spia da tenere sotto controllo: l’agitazione notturna e l’insonnia sono sintomi chiari di una situazione di disagio. Ancora, cambiamenti repentini di umore (da fasi di sofferenza ad altre di grande sollievo), gesti eloquenti e dirompenti (la rinuncia a un oggetto a cui si teneva tanto, il mettere a posto le proprie cose e i propri affari). Naturalmente nei più giovani questi segnali possono essere più mascherati: i cambiamenti vanno recepiti, richiedono occhi in grado di vederli.”

I genitori e la scuola, insieme agli amici devono saper cogliere i segnali

“La prevenzione è uno sforzo congiunto, da compiere tutti insieme: famiglia, amici, insegnanti, medici. E per arrivare prima servono formazione e informazione: nel nostro Paese si parla ancora troppo poco di suicidio, il tema viene considerato tabù. Invece bisognerebbe farlo a cominciare dalla scuola, e proprio dai ragazzi: dobbiamo parlare a loro di cosa può accadere, nella mente, quando ci si trova in un tunnel senza uscita; dobbiamo insegnare loro a reagire, a parlare, anche quando in questo tunnel vedono entrare i loro coetanei. La domanda «hai mai pensato di toglierti la vita?» andrebbe posta senza troppi problemi e senza esitazione, senza ritardo”

Il grande problema dei social

L’esperto prosegue parlando di social, di come nello spazio virtuale gli adolescenti possono instaurare legami a volte costruttivi, altre volte distruttivi.

“Dal cyberspace i nostri ragazzi vengono impadroniti tutti insieme, all’improvviso, senza allenamento o preparazione. Si tratta di un pacchetto preconfezionato, che difficilmente riescono a padroneggiare. In rete ogni cosa viene amplificata ed enfatizzata. Servirebbe formazione anche per questo: sono convinto che l’idea di un patentino per l’uso dello smartphone e delle nuove tecnologie andrebbe ripresa e messa in pratica quanto prima

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