Ora toccherà alla nuova Commissione parlamentare di inchiesta riaprire i fascicoli di quella conclusasi nel settembre 2022, per scrivere la parola fine su un caso giudiziario che sembra non trovare conclusione. In 10 anni di indagini, non si è riusciti a chiarire, inequivocabilmente, le circostanze della morte di David Rossi. Il mese di marzo torna prepotente in questa vicenda: marzo del 2013, la morte del manager di Mps. Marzo 2021, la prima Commissione parlamentare di inchiesta. Marzo 2023, l’archiviazione dell’inchiesta della Procura di Genova sulle indagini dei magistrati senesi sul caso Rossi e, ancora, marzo 2023 l’istituzione della seconda Commissione parlamentare di inchiesta. L’ultima, si spera.
Il caso David Rossi è ancora aperto
Siena, 6 marzo 2013. La città, che ruota tutta intorno alla sua banca, il Monte dei Paschi, è alla ribalta della cronaca per via delle inchieste che la procura ha avviato proprio sul crac MPS. E non si tratta di una banca qualunque: il Monte è la più antica del mondo, blasonata come nessuna.
Ed è tutto un vortice di politica e di finanza, quello in cui deve mettere le mani la procura. Al centro delle indagini dei magistrati senesi, ci sono i vertici della Banca, già allontanati dalla loro carica: si tratta dell’ex presidente Giuseppe Mussari e dell’ex direttore generale Antonio Vigni. Sono loro che, nel novembre del 2007, guidano l’acquisizione di Antonveneta, rilevandola dagli spagnoli di Santander, con manovre tanto spericolate quanto, oltremodo, opache.
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Lo scenario
Le cronache racconteranno poi che l’Antonveneta – che una perizia postuma avrebbe valutato in poco meno di 3 miliardi – fu acquisita per 174 miliardi, tra debiti accollati ed esborso puro, cui si aggiungerà l’incalcolabile volume di altro debito provocato dai derivati. Praticamente un buco nero di cui non si è riusciti a vedere la fine. L’acquisizione di Antonveneta era stata profilata da Mussari & Co. come l’affare del secolo: quello da evitare, si capirà poi.
David Rossi, 52 anni, è un manager di Mps, il capo della Comunicazione. E, la sera del 6 marzo 2013, alle 19:43, vola giù dalla finestra del suo ufficio, al terzo piano di Rocca Salimbeni, rovinando sul selciato di vicolo Monte Pio. A Siena fa freddo, quel giorno. E’ quasi primavera, ma piove. Ed è buio.
Cambia il management di Mps ma Rossi rimane al proprio posto
Nonostante i vertici del Banco siano saltati – Mussari e Vigni sono stati allontanati e devono difendersi dalle pesanti accuse mosse nei loro confronti – lo spoil system, che pur si adotta abitualmente ad ogni cambio di vertice, risparmia Rossi, apprezzato professionista che gode della stima di molti, dentro e fuori l’istituto.
I nuovi vertici di Mps, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, stanno cercando di impedire che la banca (la terza del Paese per importanza) venga travolta dagli scandali e collassi sui mercati. E, in questo gioco di destrezza e di equilibrio, la comunicazione è un fattore determinante: guai se un’indiscrezione, anche solo un pettegolezzo, arrivasse alla stampa nel modo sbagliato. Le conseguenze potrebbero essere disastrose e vanificare tutti i tentativi di resistenza al crollo.
L’inchiesta, la perquisizione, l’e-mail di aiuto
E David Rossi pare essere in grado di tenere a bada tutte le voci che possono condizionare i mercati finanziari. Ha 52 anni ed è sposato con Antonella Tognazzi. La figlia di lei, nata da un precedente matrimonio, Carolina Orlandi, ha con il manager un legame profondo e speciale, quello di un padre con una figlia. Il ruolo di Rossi, anche con il nuovo management, non è mai stato messo in discussione, nonostante il lungo legame amicale, ormai tossico, con Mussari.
Pur non risultando mai indagato Rossi, però, nelle settimane che precedono la sua morte, appare provato. Il suo ufficio, a Rocca Salimbeni, viene perquisito e il manager teme di essere coinvolto e travolto dalle accuse nei confronti dei vertici. Ne parla con il nuovo ad del Monte, Fabrizio Viola che, però, lo tranquillizza confermandogli piena fiducia. Ma il 4 marzo alle 10:30, nella casella di posta di Viola arriva una e-mail di Rossi: “Aiutami. Stasera mi suicido sul serio”. Ma l’(ex) amministratore delegato di Mps dichiarerà di non aver visto il messaggio.
Il corpo di Rossi scoperto da un collega
Quanto accade, a partire dalle 19:43 del 6 marzo, è integralmente ripreso da una telecamera di sorveglianza della banca: la caduta, lo schianto, quei venti minuti di agonia prima della morte di Rossi ed in cui nessuno sembra accorgersi di nulla. I soccorsi arrivano un’ora più tardi, quando non c’è più nulla da fare, allertati da un collega di Rossi, Gian Carlo Filippone. E’ a lui che si rivolge Antonella Tognazzi, allarmata perché non riesce a parlare al telefono con il marito. E Filippone va nell’ufficio dell’amico, trova la finestra spalancata e si affaccia, scorgendone il corpo a terra, sul selciato del vicolo.
Tutte e due le inchieste giudiziarie sulla morte del manager di Mps si chiudono con la medesima conclusione: suicidio. Vale per la prima, condotta, subito dopo i fatti, dal giudice per le indagini preliminari Monica Gaggelli e anche per la seconda, riaperta nel 2017 dalla gip Roberta Malavasi, che chiede la riesumazione del corpo di Rossi ed una tac sulla salma per tentare di chiarire i dubbi che non erano stati fugati.
Il suicidio è la tesi privilegiata
La tesi del suicidio è sempre stata la privilegiata, fin dal ritrovamento dei biglietti di addio – scritti di proprio pugno da David Rossi -trovati nel cestino del suo ufficio e fatti a pezzi: “Amore mio ti chiedo scusa. Non posso più sopportare questa angoscia”, si legge. Poi il manager accenna ad una “cazzata immotivata davvero troppo grossa”. In quei giorni, Rossi stava davvero male, emotivamente e, a darne prova, i suoi polsi presentavano segni di autolesionismo, come hanno confermato anche i famigliari del manager.
Ma, per quanti indizi vi siano a suffragio della tesi del suicidio, accolta poi dagli investigatori, altrettanti ve ne sono che non fanno spegnere i riflettori sulla vicenda. Troppo importante è la figura di Rossi, in un momento tra i più cruciali della vita di Mps, con il cui destino si intrecciano anche le sorti dei grandi della finanza europea. E troppi sono i particolari che non convincono la famiglia del manager. Le indagini appaiono frettolose, orientate più a confermare una tesi iniziale – quella del suicidio – che orientate a sgombrare il quadro dalle ombre.
Si ipotizza (ma senza trovare conferme) che Rossi fosse tentato di raccontare agli investigatori tutto quello di cui fosse a conoscenza e quanto ne fosse angosciato. Se questa ipotesi trovasse conferma – e non è mai accaduto finora – è facile desumere che il manager di Mps non dovesse essere l’unico a perdere il sonno ed il senno. Questi, però, restano pensieri sospesi a mezz’aria, patrimonio più dell’opinione pubblica complottista che della verità giudiziaria. Ma gli interrogativi senza risposta sono comunque abbastanza da far allignare sospetti difficili da fugare.
I fazzoletti sporchi di sangue distrutti
Nell’ufficio di Rossi sono stati ritrovati dei fazzoletti macchiati di sangue ma nessuno ha ritenuto di disporne l’esame del Dna. La richiesta è stata avanzata dai famigliari del manager ma si è scoperto, allora, che erano andati distrutti. Di chi era il sangue su quei fazzoletti? Di Rossi? O di suoi presunti aggressori? E perché non si è proceduto all’esame?
Le telecamere
Nonostante la presenza di molte telecamere esterne, è una soltanto quella dalla quale vengono acquisite le immagini. Le altre vengono totalmente trascurate, nonostante possano fornire un quadro preciso di chi sia ancora dentro gli uffici di Rocca Salimbeni al momento della morte di Rossi. Nelle riprese agli atti, si notano passanti che si trovano a transitare all’ingresso di vicolo Monte Pio – dove il corpo di Rossi rimane per quasi un’ora – e, circa mezz’ora dopo la sua caduta (28 minuti, secondo il time-code della telecamera) una figura si affaccia nel vicolo e se va. Inutilmente si è cercato di risalire all’identità di questa persona che, per gli inquirenti, sarebbe anche colpevole di omissione di soccorso.
La registrazione
Ma c’è di più. La telecamera che riprende il volo mortale di Rossi, per un errore di settaggio nella registrazione, fissa l’orario della caduta 16 minuti dopo rispetto all’ora effettiva, le 19:43. Ma la polizia non rileva la discrepanza di orario e questo buco di un quarto d’ora avrà riflessi disastrosi nelle indagini, perché i riscontri con i testimoni ascoltati vengono tutti inficiati dalla differenza temporale. E nessuna telecamera interna può aiutare a chiare i fatti, perché non ne esistono.
Quindi, per ben due volte le indagini accolgono la tesi del suicidio e vengono archiviate. L’accusa di omicidio non regge: non ci sono segni di colluttazione e nessuno tra coloro che ancora si trovavano negli uffici della banca, all’ora della morte di Rossi, ha sentito nulla che potesse far pensare che si stesse consumando un delitto.
Per gli investigatori non ci sono dubbi: suicidio, due inchieste lo confermano
Non la pensa così la famiglia di Rossi e, nel marzo del 2021, sotto la spinta di inchieste giornalistiche e con l’appoggio di Fratelli d’Italia, la camera dei Deputati avvia la prima Commissione parlamentare di Inchiesta. Nel frattempo sono già passati 8 anni e la sorte di Mps è stata ampiamente consegnata alla storia.
Le rivelazioni clamorose, quelle destinate a stravolgere il quadro investigativo, arrivano nel dicembre dello stesso anno. Le rende, nel corso della deposizione del 9 dicembre – durata ben 5 ore – il colonnello dei carabinieri Pasquale Aglieco a capo, all’epoca dei fatti, del comando provinciale di Siena.
Spunta un testimone che sconvolge il quadro
La sera del 6 marzo del 2013, Aglieco racconta di essere uscito per comprare le sigarette e di aver visto passare una volante della polizia. Dopo una veloce richiesta alla sala operativa, viene informato sommariamente dell’accaduto e, quindi, si reca in vicolo Monte Pio. Riconosce immediatamente, nell’uomo riverso a terra, il manager dell’Mps David Rossi e, in attesa che sul posto arrivino gli investigatori, è egli stesso a dare le prime disposizioni, tra cui il piantonamento dell’ufficio di Rossi che deve essere preservato per i successivi rilievi.
Il racconto di Aglieco prosegue e si fissa su quanto accade al terzo piano di Palazzo Salinbeni, nella stanza da cui si è buttato il manager. E’ presente il pm di turno, Nicola Marini e altri due magistrati, Antonino Nastasi e Aldo Natalini che stanno indagando, invece, sul crack della Banca. Secondo Aglieco, prima che vengano effettuati i rillievi della scientifica, dall’ufficio di Rossi si trovano a passare i suoi colleghi Filippone (che ha dato l’allarme) e Mingrone, l’usciere della banca e i due poliziotti della volante, arrivati per primi sul posto. Quando inizia il sopralluogo sono ormai già le 21:25, ovvero quasi due ore e almeno 5 persone dopo l’accaduto.
Tutti i buchi delle investigazioni e la condotta dei magistrati
Lo stesso Aglieco fa presente di essere rimasto per tutto il tempo sulla scena di un possibile crimine, in cui non si sarebbe proprio dovuto trovare, non avendo alcun titolo per partecipare a quella fase delle indagini poiché la richiesta di intervento era stata raccolta dalla Polizia e non dai Carabinieri. E racconta anche che il pm Nastasi, quella stessa sera, avrebbe risposto per ben due volte a chiamate arrivate sul cellulare di Rossi, una della quale ricevuta dall’allora senatrice – e oggi ministro – Daniela Santanché.
Dalle indagini successive alle dichiarazioni di Aglieco, risulta che le chiamate siano effettivamente arrivate all’iphone di Rossi ma senza che vi sia stata risposta. Nel 2017, Santanché aveva confermato l’accaduto ma, dopo la deposizione di Aglieco, avrebbe cambiato la propria dichiarazione sostenendo che qualcuno aveva risposto alla chiamata fatta al numero di Rossi, ma senza parlare. E’ ancora una volta un’inchiesta giornalistica a chiarire il punto: il Corriere della Sera viene in possesso dei tabulati telefonici in questione che segnalano le due chiamate in entrata senza risposta.
Prima Commissione parlamentare di inchiesta: ancora suicidio
E’ sempre Aglieco a raccontare che Nastasi avrebbe ricomposto le lettere di addio scritte da Rossi, strappate e gettate nel cestino, oltre a toccare il mouse e il pc sulla scrivania del manager. Ed è in quei momenti che prende corpo l’ipotesi del suicidio.
A quel punto, la Commissione di inchiesta richiede ai carabinieri del Ris una perizia, che gli investigatori formulano realizzando una simulazione in 3d e con dotazioni tecniche di ultima generazione messe a disposizione dalle Università e che sottolineano come quella del suicidio sia l’unica ipotesi possibile.
Terza inchiesta: la procura di Genova indaga e assolve i magistrati senesi
A seguito delle dichiarazioni di Aglieco, la procura di Genova apre un’inchiesta per indagare sulla condotta dei magistrati coinvolti nelle indagini per la morte di Rossi che si è conclusa pochi giorni fa e che ha archiviato le accuse ai danni di Nastasi e degli altri pm, pur riscontrando le mancanze loro ascritte, per la totale assenza di dolo. Inevitabile la conseguente accusa a carico di Aglieco per le dichiarazioni rese ai danni dei pm indagati ma, secondo quanto dichiarato dai magistrati genovesi, il colonnello fu sentito perché pare si trovasse – nel corso dell’inchiesta – ad Hammamet. Nel chiudere formalmente le indagini, la procura di Genova ha quindi inviato parte del fascicolo ai colleghi di Siena perché facciano luce sulle domande ancora senza risposta.
Nel corso di quest’ultima inchiesta, infatti, è spuntata una pen-drive sulla quale sarebbero state prima registrate – e poi cancellate – alcune immagini che ritraggono due dipendenti della Banca che si allontanano da Palazzo Salimbeni, attraverso una seconda uscita, proprio nel momento della morte di Rossi. Chi ha archiviato immagini tanto importanti su una pen-drive? Ma, soprattutto, chi le ha cancellate e perché?
Ancora dubbi da chiarire: arriva la seconda commissione parlamentare
Ma non sono solo queste le domande cui dare risposta. In attesa che i magistrati senesi facciano luce su quanto evidenziato dalla procura genovese ci sono ancora un paio di punti da chiarire: sul corpo di Rossi ci sono almeno 9, tra ferite e contusioni, che non sarebbero compatibili con quelle riportate in seguito alla caduta e che sembrano essere antecedenti alla sua morte. Come si è procurato quelle ferite David Rossi? E quando?
Nonostante gli anni passati, gli interrogativi su quanto accadde quella sera del 6 marzo del 2013 sono, più che mai, ancora vivi.
La morte di David Rossi non è un fatto di cronaca qualunque: l’ambiente in cui è maturata, gli scandali che hanno attraversato il Monte dei Paschi di Siena, il turbinio di nomi altisonanti della politica e della finanza nazionale ed internazionale coinvolti, a vario titolo, nelle sorti della banca, non permettono risposte opache ed approssimative.
Che si sia trattato di un gesto più o meno volontario, la morte di David Rossi va chiarita, al di là di ogni dubbio, anche il più irragionevole. E questo è il motivo per cui, dopo 10 anni di indagini, si continua a parlare del caso David Rossi.