Terrorismo islamico in Italia, le origini
Anche se il terrorismo islamico non è molto comune in Italia, ci sono ogni tanto episodi isolati che dimostrano l’attività della jihad anche nel nostro Paese. Spesso va contrastata prima che colpisca, ma non sempre le forze dell’ordine riescono ad identificare le singole cellule, che agiscono indisturbate. Il primo caso di terrorismo islamico in Italia si registrò nel 2009 con il noto “caso Game“: un terrorista libico, Mohammed Game, fece esplodere in ordigno nella caserma Santa Barbara, a Milano.
Il primo terrorista della Jihad in Italia, Mohammed Game
Da allora, altri casi di jihadismo hanno riempito le pagine delle cronache dei nostri giornali, tra i quali i più noti sono: Il caso Jarmoune, il caso el-Abboubi e il caso Delnevo. Dalla prima scoperta dell’esistenza di cellule terroristiche islamiste nel nostro Paese, le forze dell’ordine non hanno smesso di perseguire le condotte sospette a supporto dell’ideologia jihadista. Un importante lavoro viene fatto attraverso il monitoraggio del web. Internet è spesso il principale mezzo per entrare in contatto con la Jihad, e per interagire con altri soggetti in via di radicalizzazione o già radicalizzati.
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Ed è stato tramite la rete che, anche questa volta è stato rintracciato un minorenne che abita in provincia di Bergamo che, secondo le informazioni raccolte dalla prime indagini, stava preparando un attentato in Italia.
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Il materiale dell’Isis che custodiva il 16enne in casa
Il 26 di maggio del 2023, il gip del Tribunale per i minorenni, su richiesta della procura per i minorenni di Brescia, ha firmato un mandato di arresto contro un minorenne italiano di origini straniere, indagato per associazione con finalità di terrorismo, addestramento, apologia e istigazione a delinquere aggravate. Secondo quanto traspare dalle indagini della Digos, il 16enne si stava preparando per compiere un attentato incendiario nella zona in cui vive.
Quando le forze dell’ordine hanno bussato alla sua porta non sapevano che avrebbero trovato il ragazzo in possesso di un ingente materiale riconducente allo Stato Islamico. Alcuni dei video presenti nei suoi supporti elettronici erano già stati trasmessi dal minorenne via social, esortando gli altri ad agire, e gli investigatori avevano conservato la traccia. Tuttavia, nell’abitazione del ragazzo sono stati trovati molti altri elementi indiziari della sua fede jihadista, come manuali per confezionare ordigni esplosivi e immagini cruente di esecuzioni dell’Isis.
Esplosivi della jihad
Le indagini della Digos e della Direzione Centrale della polizia di prevenzione
L’indagine è stata condotta dagli agenti della Digos di Bergamo e Brescia, coordinati dalla procura del tribunale dei minorenni di Brescia. Un notevole supporto di controllo e verifica è stato fornito dal Servizio per il contrasto all’estremismo e al terrorismo esterno della Direzione centrale della Polizia di prevenzione (DCPP), reparto specializzato in attività antiterroristica.
Il minorenne aveva dimostrato sui social di essere diventato radicale in breve tempo; nel network agiva in maniera violenta e faceva girare video di propaganda jihadista riconducibili all’Isis; l’attività investigativa, che è stata svolta anche con il dipartimento d’intelligence e con il supporto di altri dipartimenti di polizia straniera, ha portato ad accertare che il giovane apparteneva ad un gruppo di sostenitori del Daesh (la sigla di Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham, cioè l’Isis) presenti in diversi paesi europei e in America. Alcuni di essi sono stati arrestati nelle ultime settimane, come adesso il giovane italiano.