Senza gambe sull’Everest, possibile?
Quando si dice che “niente è impossibile, solo improbabile“, tanti storcono il naso. Tuttavia, l’impresa compiuta recentemente da un nepalese di 43 anni è la prova che, anche quando tutto si mette contro di noi, la determinazione non ci fa soccombere. In questo articolo vi parleremo del nepalese Hari Budha Magar , che è nato sull’Himalaya e ha scalato il Monte Everest, anche se non aveva fatto questa scelta di vita, che ora lo ha portato in cima al mondo.
Ma perché abbiamo scelto di raccontarvi questa storia? Perché Hari è salito in cima agli 8.849 metri dell’Everest senza gambe, in una missione che lui stesso ha soprannominato “no legs, no limits” (senza gambe, senza limiti). Vi raccontiamo chi è Hari Budha Magar e quello che significa il superamento di ogni limite.
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Chi è Hari Budha Magar?
Hari nacque nel 1979 in una stalla, a 2.500 metri di altitudine, in una zona remota del Nepal occidentale. Cresciuto a Mirul, nel distretto Rolpa dell’Himalaya nepalese, quando era piccolo doveva camminare ogni giorno 45 minuti andata e ritorno per andare a scuola, a piedi nudi. Poiché non c’erano carta né penne, ha imparato a scrivere con il gesso su un pezzo di legno. E’ stato costretto a sposarsi all’età di 11 anni e, quando era un adolescente, ha vissuto la Guerra Civile Nepalese, in cui sono state uccise più di 17 mila persone in 10 anni. La sua non è una storia facile, sicuramente.
L’Everest
A 19 anni Hari si arruolò nella Brigata nepalese Gurkha, che si trovava al servizio della Corona Britannica da secoli, e nel 2010 fu mandato in missione di pace in Afghanistan. Purtroppo, mentre faceva attività di ricognizione, il nepalese si imbatté in un campo minato e una esplosione gli fece perdere i due arti inferiori all’altezza del ginocchio. Passò molti mesi in ospedale fino alla ripresa definitiva. Quando uscì dall’ospedale, il Gurkha era molto depresso e iniziò a bere.
La situazione di malato di guerra con tre figli a carico fece ragionare Hari, che decise di cambiare il suo futuro e rendersi utile, dimostrando che un disabile non è una persona a carico dello Stato, ma un essere umano con delimitazioni, ma anche con tante possibilità di eccellere.
Le sfide sportive di Magar
L’ex soldato nepalese ha provato una grande varietà di sport, mentre si è dotato di protesi all’avanguardia. Il suo scopo, mentre provava diverse sfide, era allenarsi per scalare le montagne più alte del Mondo. Tra i vari sport da lui praticati si trovano il golf, lo sci, il kayak e l’arrampicata; inoltre, ha giocato anche a rugby e basket in sedia a rotelle.
Tuttavia, la sfida maggiore rimaneva la montagna. Per allenarsi alla grande prova di scalare l’Everest, Magar raggiunse, prima la cima di Mera (6.476 metri), e poi il Monte Bianco, la montagna più alta delle Alpi (4.808 metri). Hari indossa sempre pantaloncini corti per fare vedere le sue protesi. L’uomo rimpiange di avere perso 2 anni della sua vita a piangere la sua sorte.
Finalmente arriva la scalata dell’Everest
Nel 2017 il Nepal impose delle regole tali che vietavano ai ciechi e agli escursionisti senza gambe la scalata dell’Everest. Hari si diede da fare, insieme a diverse Associazioni ed enti, affinché fosse revocata la disposizione. Nel 2018 le regole cambiarono e un cinese di nome Xia Boyu senza gli arti inferiori raggiunse la cima, mentre Hari Magar si preparava alla grande impresa.
Il cinese Xia Boyu nel 2018
In questi anni, Hari si è preparato per affrontare una sfida quasi impossibile, con grande determinazione. Per lui “dal momento in cui ci si adatta alla propria vita in base alla situazione e al momento, è possibile fare qualunque cosa. L’unico limite e il cielo“. Il suo scopo è quello di dimostrare che le persone che hanno disabilità possono fare anche altre cose, sebbene sia “un modo diverso di farle”
Così, una volta pronto ad affrontare la sua grande sfida, il 17 aprile scorso è partito verso la cima agognata. La data corrisponde alla stessa giornata che 13 anni prima lo aveva visto ridursi a persona “diversamente abile”. Hari ha trovato nel suo percorso condizioni atmosferiche estremamente avverse, gelo e bufere di vento, ma lui non ha mai mollato fino a concludere l’arrampicata lo scorso venerdì 19 di maggio.
La discesa è stata altrettanto dura. Il nepalese ha raccontato: “Eravamo rimasti a corto di ossigeno, ci sono stati dei tratti durante i quali mi sono calato a salti, rimbalzando sul sedere per fare prima, perché avevamo ossigeno solo per una quarantina di minuti… poi sono arrivati dei compagni con bombole nuove, insieme ce l’abbiamo fatta“.
Ora al Gurkha resta ancora un obiettivo. Vorrebbe tornare in Afghanistan. In un certo modo vorrebbe ringraziare quella terra, perché se non fosse rimasto colpito dall’ordigno, non avrebbe perso le gambe e non sarebbe mai salito sull’Everest.