Morire di fatica si può. E’ successo al dottor Giovanni Buccoliero, di 61 anni, morto dopo un turno di 24 ore di lavoro.
Giovanni Buccolieri è stato stroncato da un collasso cardiaco che non gli ha lasciato scampo. Primario del reparto di Medicina presso l’ospedale “Giannuzzi” di Manduria (Taranto) è morto dopo 24 ore di lavoro consecutive, intorno alle 8:30 di giovedì mattina.
“Siamo sotto organico e Giovanni, come tanti di noi, faceva anche da tappabuchi. Martedì sera, arrivando in ospedale, ha lavorato dodici ore al Pronto soccorso. Poi, dalle 8 del mattino successivo, altre dodici in reparto rientrando a casa solo mercoledì sera. Giovedì mattina era poi regolarmente in reparto a fare le visite ed è morto praticamente in corsia”, hanno riferito i colleghi.
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Morte per stress
Adesso, è stata avanzata l’ipotesi per la quale Buccoliero sia deceduto a causa proprio dello stress lavorativo, ma sarà l’inchiesta e la relativa autopsia a stabilire se via sia o meno un nesso.
Il Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, ha ricordato ieri la scomparsa del collega: “Abbiamo più volte evidenziato il grave disagio dei medici, sottoposti a superlavoro, a turni infiniti, senza possibilità di fruire dei riposi previsti dalla legge, o delle ferie. Abbiamo sollevato quella che abbiamo definito la ‘Questione medica’, l’abbiamo posta al ministro della Salute Roberto Speranza e al Presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, in una Conferenza dedicata”. “L’errata programmazione delle Regioni, unitamente al blocco delle assunzioni legato al tetto di spesa del fondo per il personale, fermo al 2004, ha determinato una drammatica carenza di personale. È inaccettabile che siano gli operatori sanitari a scontare questi errori con la salute e, persino, con la vita”, ha spiegato Anelli.
La sicurezza sul lavoro, ha spiegato, è “un diritto costituzionalmente tutelato. Per i medici, deve esserlo a maggior ragione, perché è presupposto della sicurezza delle cure. Laddove le carenze di personale sono gravi, è meglio chiudere l’ospedale e concentrare i professionisti nelle altre strutture, piuttosto che assistere a conseguenze drammatiche”