Ilaria Salis e 5 altre vittime di leggi e processi disumani da non dimenticare

By Ana Maria Perez

Ilaria Salis e le foto dello scandalo

Ieri, lunedì 29 gennaio, tutte le testate giornalistiche, i telegiornali e i media hanno registrato le immagini di Ilaria Salis mentre veniva accompagnata in Tribunale a Budapest dalla polizia penitenziaria magara. Se già fa notizia che una nostra connazionale si presenti in un Tribunale straniero per essere giudicata in una Legge e una lingua che non conosce, a generare lo shock generale è stato lo stato in cui la detenuta compariva in aula: mani e piedi incatenati, i ceppi legati a una specie di guinzaglio con cui veniva trascinata come un cane in tribunale.

Del resto, vi parliamo spesso di Giustizia senza diritti e il caso di Ilaria Salis non è il primo che affrontiamo, e purtroppo, probabilmente non sarà l’ultimo. Vi raccontiamo chi è Ilaria Salis, che cosa faceva a Budapest e vi ricordiamo altri 5 casi di Giustizia “disumana” che vi faranno riflettere.

ilaria salis

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Chi è Ilaria Salis e perché si trova in carcere a Budapest?

Ilaria Salis, 39enne, è una maestra elementare cresciuta a Monza. Ha studiato al liceo classico Zucchi e nel 2003, ha contribuito alla nascita del centro sociale Boccaccio, avviato dall’iniziativa di giovani dei collettivi studenteschi. La donna si è sempre dichiarata antifascista, anche se, secondo suo padre Roberto, “da tempo ha preso le distanze da posizioni più radicali“.

L’evento che ha “incastrato” Ilaria

A Budapest, tra il 9 e il 12 febbraio 2023 si celebra il fine settimana dedicato alla celebrazione del “Giorno dell’Onore”. Nella capitale magara si sono dati appuntamento gruppi di estrema destra da tutta Europa. Neonazisti, skinheads, hooligans calano sulla capitale per commemorare un battaglione nazista che, nel 1945, tentò di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. L’11 febbraio Ilaria viene arrestata.

Ci sono delle riprese video che inquadrano due estremisti che vengono circondati e aggrediti a colpi di manganello da alcune persone irriconoscibili, poiché hanno il volto coperto. La 39enne è accusata di aver fatto parte del gruppo che ha partecipato a questa aggressione, nella quale i due malcapitati hanno riportato ferite lievi. Lei si è sempre dichiarata innocente, non riconoscendosi nel video portato come prova principale dalla pubblica accusa ungherese.  Con lei vengono arrestati anche due altri antifascisti tedeschi.

La richiesta di aiuto da parte del padre di Ilaria

Roberto Salis, padre di Ilaria dice: “Ilaria si dichiara innocente, e porterà in aula tutte le motivazioni per dimostrare la sue estraneità alle accuse. Il punto è un altro: mia figlia deve uscire di lì, bisogna tirarla fuori. Denunciamo da tempo le condizioni in cui è detenuta, la privazione dei diritti fondamentali di una cittadina italiana, in un Paese europeo. Non è civile celebrare un processo equo in queste condizioni. Su questo mi sarei aspettato una indignazione trasversale“.

Sì, perché Salis aveva già denunciato in precedenza le condizioni disumane in cui era detenuta la figlia. Ma ora, le fotografie parlano da sole. Al punto da avere scatenato una presa di posizioni da vari lati: sia nel nostro Paese, sia nell’UE, dove il suo caso ha destato scalpore.

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Il rifiuto al patteggiamento e il processo

Ilaria ha rifiutato una sorta di patteggiamento che le sarebbe costato una condanna a 11 anni. Per questo ora ne rischia 24.

Uno dei due coimputati, tedeschi, che a differenza dell’insegnante milanese si è dichiarato colpevole, è stato condannato a tre anni. Il giudizio immediato è stato possibile poiché l’uomo ha ammesso le accuse contestate dalla procura ungherese. La sua difesa ha annunciato ricorso puntando a una riduzione della pena, e ad un riconoscimento della detenzione cautelare già scontata. Ilaria Salis, invece, è considerata “l’imputata centrale” del processo, e per lei la battaglia, dentro e fuori il palazzo di giustizia, è appena iniziata.

La posizione del Governo, necessario un chiarimento

 Il governo ha convocato l’ambasciatore ungherese, il ministro Tajani ha chiesto al governo di Budapest di «vigilare e di intervenire affinché vengano rispettati i diritti previsti dalle normative comunitarie»,

il ministro Nordio ha assicurato che sarà fatto “tutto il possibile per attenuare le condizioni rigorose in cui è detenuta“, aggiungendo però che “naturalmente la magistratura ungherese è sovrana“.

Si spera che Giorgia Meloni può inventarsi mediatrice tra Bruxelles e Budapest e mettere sul tavolo anche il caso Salis, come già accaduto con il precedente di Patrick Zaki, che induce a pensare che il governo sappia come muoversi in casi del genere. Sicuramente la premier farà tutto ciò che potrà per una sua concittadina trattata in modo palesemente disumano, nonostante Ilaria Salis sia “di sinistra“.

Le dichiarazioni degli avvocati, scioccati

L’avvocato di Ilaria, che non ha accettato il patteggiamento, ha dichiarato: “È stato uno choc. Ci aveva detto che veniva sempre trasferita in queste condizioni ma vederla ci ha fatto impressione. Era tirata come un cane, con questa guardia che la tirava con una catena di ferro. Ed è rimasta così per tre ore e mezza (…) È una grave violazione della normativa europea (…) l’Italia deve far finire questa situazione ora“.

Altri casi di detenzioni e leggi disumane

Ilaria De Rosa, detenuta in Arabia

Ilaria De Rosa, una hostess italiana della compagnia lituana Avion Express, 23 anni e originaria della provincia di Treviso è stata reclusa in un carcere femminile a 45 chilometri da Jeddah. Era stata arrestata con l’accusa di detenzione di stupefacenti. Uno spinello nel reggiseno l’ha inguaiata. Il verdetto? Colpevole! Ad Ilaria sono stati inflitti sei mesi di pena detentiva in carcere. E niente estradizione.

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Narges Mohammadi, premio nobel per la pace e detenuta in Iran

L’attivista iraniana per i diritti delle donne Narges Mohammadi  ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace 2023 mentre si trovava in carcere in Iran. La donna è stata arrestata 13 volte, condannata cinque volte per un totale di 31 anni di carcere e 154 frustateMohammadi si trova nel famigerato carcere di Evin. La donna si è concentrata soprattutto sulla difesa dei diritti dei carcerati e dei prigionieri politici, e sulle campagne per l’abolizione della pena di morte

Narges Mohammadi

Il caso di Mahsa Amini, che ha fatto storia

Nel settembre del 2022 cominciarono in Iran le proteste per la morte di Mahsa Amini, che ben presto si estesero in tutto il paese. Amini era una donna di 22 anni originaria del Kurdistan iraniano, che era stata fermata dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente il velo islamico (hijab), come prescritto dalle leggi iraniane. La sua morte, causata probabilmente dalla violenza e dalle percosse della polizia, provocò enormi proteste che nel tempo diventarono la sfida più seria al regime teocratico instaurato in Iran dopo la rivoluzione khomeinista del 1979.

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L’impiccagione di Samira, simbolo delle spose bambine

Dopo dieci anni di prigionia, Samira Sabzian è stata impiccata; la ragazza è stata una vittima simbolo dei matrimoni tra spose bambini e uomini più anziani, una delle gravi violazioni dei diritti umani in Iran. La tragedia ha destato indignazione a livello internazionale, evidenziando la fragilità dei diritti delle donne iraniane.

Samira Sabzian, trascinata dalla triste spirale degli abusi e delle ingiustizie, è stata impiccata nel carcere di Qeezel Hesar a Karaj, dopo una condanna a morte per aver ucciso il marito, un atto presumibilmente legato agli abusi domestici subiti. Questo evento raccapricciante è stato riportato dall’ong Iran Human Rights, suscitando un’ondata di indignazione e proteste contro le politiche discriminatorie della Repubblica Islamica.

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Uganda, da 20 anni di galera alla pena capitale per i gay

La legge ugandese, con l’obiettivo di “proteggere i valori tradizionali della famiglia“, punisce severamente coloro che difendono i diritti Lgbtq+. La stessa accade in almeno altri 30 stati africani che, tuttavia, si dimostrano un po’ più tolleranti. Perché la legge ugandese, a differenza di altri Paesi, punisce pesantemente, non solo coloro che si dichiarano Lgbtq+, ma anche le loro famiglie e conoscenti, che dovrebbero denunciarli. Essere omosessuale equivale a scontare 20 anni di carcere. Ancora più pesante è la condanna per chi intrattiene rapporti sessuali con minorenni o persone malate di Aids. In tale caso si rischia la pena di morte.

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