Ermal Meta è stato intervistato dal settimanale Oggi e ha fatto sapere innanzitutto di essere guarito dal gonfiore misterioso che lo aveva afflitto in queste settimane e che tanto aveva preoccupato i fans.
Il cantante si è rimesso in sesto, e ora è pronto più che mai a ripartire col suo tour, sottolineando come si sia rammaricato a dover spostare le date e a lasciare in sospeso i fans. “Mi è dispiaciuto, ma era necessario. Alla fine non era niente di davvero preoccupante. Ora sto bene”.
Fatta questa breve precisazione, Ermal è passato a parlare del suo passato, e dei primi tempi qui in Italia.
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“La gioia è una cosa seria”
“Ho capito tardi che la gioia è una cosa seria. Mi nascondevo. Il sorriso è un’apertura agli altri e io avevo un’esigenza di nascondermi che arrivava da lontano, da una famiglia in cui non potevi mai mostrare il fianco”, ha raccontato. Un rapporto difficile con il padre, che è l’unico della famiglia con cui non vuole avere rapporti.
“Un rapporto difficile? Quello con mio padre che non perdonerò, che proprio in quegli anni terribili, con violenza, criminalità, morti per le strade, ci lasciò soli”, ha detto.
Come noto a molti, l’artista ha origini albanesi ed è arrivato in Italia ad appena 13 anni. I primi anni sono stati tempi bui, in una fase delicata della vita come l’adolescenza, trovarsi senza un padre e in un Paese straniero col resto della famiglia, è palesemente compito non facile: “Sentivo di dover dimostrare che non ero come gli albanesi dipinti dai giornali. Mi sentivo un ospite che non doveva fare rumore. Mi dava fastidio e allora con la musica ho fatto più rumore che potevo”.
“Non mi sento un esempio”
Ermal dice di non sentirsi un esempio: “Non ho fatto niente per integrarmi, anzi, ho sempre voluto distinguermi. Dal 2006 il mio passaporto dice che ho la nazionalità anche italiana, ma è un passaporto. In Albania ho vissuto 13 anni, in Italia 28. Ma se guardi una pianta non puoi ignorare che è così bella grazie a radici sane. Al solito, le cose importanti non si vedono”.