Deturpato il murales di Paola Egonu. Ma il razzismo non vincerà

By Luana Pacia

Nemmeno il tempo di festeggiare la sua medaglia d’oro che ha portato alto il nome dell’Italia nel mondo, che il murales dedicato a Paola Egonu è stato vandalizzato e nella maniera più bieca e ignorante.

Italianità: il murales dedicato a Paola Egonu

Italianità è il murales dedicato da Laika, street artist di Roma, che ha deciso di ritrarla il giorno dopo la vittoria alle Olimpiadi. Una raffigurazione bellissima, mentre la sportiva schiaccia una delle sue vigorose pallonate e con la scritta “stop racism” sulla palla. Un elogio posto proprio davanti al palazzo del Coni, quale luogo migliore.

Laika aveva postato una foto del suo lavoro su Instagram, con la didascalia: “Nel nostro paese non c’è più spazio per xenofobia, razzismo, odio ed intolleranza. Il razzismo è una piaga sociale che va sconfitta. Farlo anche attraverso lo sport è importantissimo.
Credo in un futuro di inclusività, di accoglienza e di rispetto dei diritti umani.

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Essere rappresentat* da atlete come Paola Egonu, Myriam Sylla, Ekaterina Antropova è un onore. Vederle con la medaglia più preziosa dei giochi olimpici al collo, mentre cantano commosse l’inno italiano è una gioia immensa.

paola-egonu

Un simbolo di inclusione, ma anche di lotta contro l’ignoranza dilagante che cerca ancora di dimenarsi, come un pesce morente, contro una società che sta andando avanti.

Quella stessa ignoranza che ha deciso di imbrattare il murales, colorando la pelle di Paola Egonu di rosa. Un atto vile, che la stessa Laika ha commentato con una frase: “Il razzismo è un cancro brutto da cui l’Italia deve guarire“.

Cosa ha risposto Paola Egonu?

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Al momento tutto tace dalla pallavolista, che pur essendo nata a Cittadella e avendo passato tutta la sua vita in Italia, deve ancora combattere contro chi le dice che italiana non è, nonostante la sua cittadinanza. In un lungo sfogo ha denunciato di essere sempre stata attaccata per il colore della sua pelle, fin da bambina, anche dalle sue maestre:

«Un figlio? Vivrebbe lo schifo che ho vissuto io. Vale la pena condannarlo all’infelicità?»

Eppure lei italiana si sente, anche se con un pizzico di internazionalità: «Mi sento afro-italiana. Canto l’inno di Mameli ma non dimentico da dove provengo. Avere più culture significa essere più ricca: mi sento a casa a Milano e Conegliano, a Lagos e Abuja e pure a Manchester, dove si sono trasferiti i miei genitori. Sono instabile, volubile, simpatica, pazza, permalosa. In cinque secondi, passo dall’essere la ragazza più felice del mondo all’umore nero».

Una mente aperta al mondo, quindi, in netto contrasto con chi ha deturpato quel murales: italiano, forse, dalla mentalità chiusa. Quella, sì.