Carol Maltesi, sentenza discussa: “era disinibita”
Ricordate questo caso di cronaca? L’omicidio di Carol Maltesi è rimasto nella storia recente della cronaca nera come uno dei casi di femminicidio più riprovevoli, contorti e assurdi.
La donna, una 26enne avvenente descritta come attrice, fu uccisa dal 44enne Davide Fontana, un bancario con il quale aveva avuto una relazione e che era ancora innamorato di lei. L’omicidio è avvenuto l’11 gennaio 2022 e il processo, svoltosi con il rito abbreviato, si è appena concluso. Con la condanna a 30 anni per l’omicida. Sentenza molto discussa perché non ha accolto le richieste del PM e delle parti civili, che chiedevano l’ergastolo. Andiamo per parti.
Davide Fontana
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L’omicidio avvenuto mentre Carol girava un film
Carol Maltesi aveva un rapporto con Davide Fontana quando abitavano a Rescaldina (MI). Tra di loro era sfociata una grande passione. Lei lavorava in un negozio di profumi e aveva un figlio di 6 anni, che abitava a Verona. La 26enne, molto avvenente, aveva un sogno nel cassetto: diventare benestante sfruttando la sua immagine. A questo proposito aveva deciso di “prestare” la sua sessualità a Onlyfans, dove aveva un profilo. Grazie al suo successo sul social aveva iniziato a guadagnare bene e aveva deciso di lasciare Fontana per raggiungere suo figlio. Ma lui (Fontana) non ci sta.
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13 martellate inflitte per assicurarsi che la donna fosse morta
Di fatto, in occasione di un incontro tra i due ex amanti, mentre lui girava un video da pubblicare on-line, la donna venne massacrata con 13 martellate alla tesa. È stata picchiata, sgozzata, fatta a pezzi; il suo corpo è stato tenuto in un congelatore per giorni e poi gettato in un dirupo dove è stato poi ritrovato molti giorni dopo l’omicidio.
Come racconta “Today”, l’assassino reo confesso ha accuratamente ripulito l’appartamento dove è avvenuto il reato e nei giorni che hanno preceduto il suo arresto ha cercato in tutti i modi di depistare le indagini: per ingannare gli inquirenti, ha pagato tramite un’app l’affitto di casa di Maltesi per non allarmare la padrona di casa e ha risposto fingendosi lei ai messaggi che le inviavano i genitori e l’ex compagno. Come alibi si era inventato che Maltesi si trovasse a Dubai.
La sentenza che fa discutere
Un omicidio così efferato ha portato l’opinione pubblica a ritenere che all’omicida non sarebbero state concesse le attenuanti generiche e che, anzi, la condanna sarebbe stata appesantita dal “futile motivo” e dalla “crudeltà“. Invece, così non è stato perché i giudici hanno deliberato che si è trattato di un omicidio provocato dalla disperazione di un uomo lasciato da una donna disinibita che si è sentito usato e frustrato al punto da distruggere la causa del suo disagio. Appunto, Carol.
Il numero di martellate non conta, perché la legge non tiene conto delle modalità con cui viene commesso un omicidio, ma delle cause che lo provocano e del fatto che vi sia stata premeditazione o la voglia di infierire ancora sul corpo della vittima, destinata a morire. Nel caso di Carol, secondo i giudici questo non è avvenuto.
Il Giudice: “se il parere dei giudici non conta, metteteci al suo posto un juke-box“
In un’intervista al Corriere della Sera, Giuseppe Fazio, presidente della Corte d’Assise di Busto Arsizio, spiega la sentenza e lancia una provocazione: “con quale spirito tra pochi giorni la mia Corte d’Assise affronterà un altro processo per un fatto altrettanto cruento? Il giudice non è qui apposta per valutare le circostanze? Se no, ci dicano che possono fare a meno del giudice. E, al suo posto, metterci un juke-box“.
Il ragionamento dei giudici
Il giudice Fazio non comprende, anzi si dichiara “allibito”, tutto questo chiacchiericcio in merito alle motivazioni della sentenza che, a suo parere, non sono state lette bene. Secondo lui, il fatto che Carol fosse “disinibita” non ha fatto alcuna differenza; si è trattato solo di una circostanza; “non sarebbe stato diverso se la ragazza avesse fatto la suora anziché l’attrice“.
Il magistrato spiega che l’aggravante della crudeltà non c’è perché “per la giurisprudenza deve essere l’infliggere un male aggiuntivo e gratuito rispetto alla “normalità causale” del delitto: e qui per noi non c’era, non si può fare l’errore di desumere l’aggravante della crudeltà dal successivo raccapricciante scempio fatto sul cadavere.
Infine, le attenuanti generiche sono state applicate perché l’imputato ha collaborato con gli investigatori, “consentendo di acquisire molti atti d’indagini, ha fatto oggettivamente risparmiare tempi ed energie al processo“.
Il computo degli anni oggetto della sentenza è stabilito così: “il massimo dell’omicidio semplice, 24 anni; si aggiunte il massimo della pena per lo scempio del cadavere, che sono 7 anni, più 3 di continuazione. Fanno 34 anni, ma il tetto massimo di legge è 30“. Ed è per questo che l’imputato è stato condannato a 30 anni di carcere.