L’orso Juan Carrito: l’agonia in video

By Ultimedalweb

Era un’icona, una mascotte, la promozione turistica vivente dell’Abruzzo: l’orso Juan Carrito, investito sulla statale domenica pomeriggio, non ce l’ha fatta.

Un video, che mostra l’agonia del povero animale, è stato immediatamente postato sui social, sollevando l’inevitabile ridda di polemiche.

Ma la domanda è un’altra: perché un orso bruno marsicano di 150 chili passeggiava sulla statale? Perché un animale selvatico si trova in un ambiente che non è il suo?

L’incidente a Castel Di Sangro

Le risposte sono molte e non tutte piacevoli, per noi umani. A cominciare da quella sulla statale, la 17, di Castel Di Sangro, quella che porta al cimitero e che attraversa un territorio che sarebbe stato meglio rispettare, secondo l’opinione di molti. E dove, ieri pomeriggio, l’orso Juan Carrito è stato investito da una vettura vicino ad un sottopasso. In molti affermano, ora, che quella statale lì non ci dovrebbe essere.

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Juan Carrito, l’orso troppo “confidente”.

orso juan carrito
l’orsoJuan Carrito, courtesy Fanpage.it

Ma statale o no, l’orso Juan Carrito, di restarsene al sicuro nelle sue zone proprio non ne voleva sapere. Animale nato selvatico e divenuto troppo “confidente”, impreparato a convivere con le regole degli umani, aveva perso il proprio istinto di autoconservazione: prova ne sono i numerosi e singolari episodi di cui era stato protagonista e che sono stati tutti immortalati in video e post che hanno spadroneggiato sui social, anche in quell’occasione, in un tripudio di like e commenti. Come in un film di Disney, insomma. Come in un cartone animato.

Purtroppo essersi avvicinato troppo all’uomo, questa volta, gli è risultato fatale.

L’auto distrutta, miracolosamente illesi conducente e passeggeri.

L’orso Juan Carrito, apparentemente nome e cognome come fosse una persona (in realtà si tratta del nome di una località abruzzese, frazione del comune di Ortona dei Marsi, ndr), era troppo abituato agli umani per provarne timore ed usare prudenza. Fortunatamente per gli occupanti del veicolo coinvolto nell’incidente, le conseguenze sono state tutte per l’animale e per la vettura. Ma se Juan Carrito si fosse comportato da “orso”, sarebbe ancora al sicuro tra i boschi, forse in letargo (non è una condizione essenziale per gli orsi marsicani, quella del letargo) e non si sarebbe avventurato dove sapeva, o meglio non sapeva, di correre pericolo.

Non conosceva il pericolo della vita “da umano”.

Ben inteso, la responsabilità  è, comunque, tutta e sempre umana. Trattandolo come se umano fosse anch’egli, non gli abbiamo permesso di difendersi da noi.

Ora c’è solo da sperare che mamma Amarena, un’autentica celebrità anch’essa, e i suoi altri tre cuccioli non si facciano abbindolare dalle carezze umane, anche se offerte in totale buona fede. Perché le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni e la storia dell’orso Juan Carrito ne è un esempio perfetto.

Pollai e spazzatura cittadina fornivano cibo in abbondanza.

Un animale talmente abituato dalla presenza degli uomini da spostarsi senza alcuna difficoltà tra Roccaraso e Pescasseroli, avvicinandosi ai pollai, ai cassonetti della spazzatura e ai ritrovi dove è più facile procurarsi il cibo. Addirittura aveva fatto visita ad un celebre ristorante stellato e lo chef ne aveva immortalato fieramente l’incontro. Era stato fotografato a mentre passeggiava lungo i binari della ferrovia e anche mentre giocava con un cane a poca distanza dalla padrona.

L’ultimo avvistamento domenica sulle piste da sci.

Domenica, poco prima dell’incidente, era stato avvistato sui campi da sci dell’Aremogna. Poi si deve essere spinto fino al sottopasso della statale. Nessuno gli aveva insegnato il pericolo. E lui si è fidato, perché non sapeva di dover stare in guardia.

Era stato catturato più di un anno fa, e spostato sulla Maiella ma l’orso Juan Carrito non aveva resistito ed era presto tornato a fare la vita che, ormai, conosceva e che, evidentemente, preferiva a quella che madre natura aveva pensato per lui. La vita da “umano” sembrava più facile. Per controllarne gli spostamenti gli era stato messo un collare con un segnalatore Gps.

In tutto solo 50 esemplari, da raddoppiare entro il 2050.

L’orso Juan Carrito era ormai la mascotte della promozione dell’Abruzzo e delle meraviglie del suo parco. Meraviglie che è quanto mai necessario proteggere dall’uomo, pericoloso anche quando non pensa di esserlo.

In base all’ultimo censimento, sono poco più di 50 gli esemplari di questa specie, quella di Juan Carrito, sopravvissuti. Entro il 2050, attraverso l’impiego dei progetti dell’UE, l’obiettivo è quello di raddoppiare l’area della specie ed il numero di individui.

Esseri viventi, non peluches.

Ma quello che è importante, oltre ad evitarne l’estinzione, è assicurarsi ti trattare l’orso Juan Carrito e tutti gli altri animali come tali. Con rispetto, per la loro diversità dagli umani. Perché quello che li rende indispensabili, tutti, è la loro natura che, per nessuna ragione, deve poter essere cambiata, rendendoli così simili a quei simpatici peluches senz’anima né istinto che troviamo nei negozi.

Se lo avessimo trattato da orso Juan Carrito sarebbe, probabilmente, ancora tra i suoi monti e non avremo dovuto assistere allo strazio della sua fine in diretta, quella sì, postata senza un briciolo di umana pietà.

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